L’ASSENZA DI EDUCAZIONE E’ UN PROBLEMA PER IL LAVORO

Alfonso D’Alessio

Oggi in ogni angolo o crocicchio di strada, nei bar, davanti alle edicole si parla di crisi economica, delle prospettive future. Se ne discetta cercando di celare la paura che le cose possano andare sempre peggio. C’è tuttavia un aspetto di questa crisi complessa che nel nostro sud preoccupa maggiormente, in quanto ha acuito una situazione già critica. E’ la realtà della disoccupazione. Un dramma per i nostri giovani che stanno riscoprendo la via dell’emigrazione verso il nord Italia e il nord Europa. Ma una criticità, affinché si possa trovare una soluzione e una via d’uscita, occorre conoscerla bene, usando onestà intellettuale e osservandola da ogni angolo prospettico. In genere si accusano i politici di non far nulla per creare occupazione, si attaccano gli imprenditori perché sospettati di marciare e approfittare della recessione per licenziare, riducendo così i costi e massimizzando i ricavi. Osservazioni a volte fondate ma anche facili preda e strumento di demagogia. Proviamo a porci una domanda: oggi, al posto di un imprenditore, cosa faremmo? La domanda è pertinente soprattutto qualora volessimo incrementare l’attività assumendo lavoratori. Prenderemmo a lavorare uno di quei giovani che spesso si vedono la sera dopo le 22 impegnati in una sorta di “transumanza”, avanti e indietro vagando senza meta, per le vie cittadine? Ci fideremmo dei medesimi giovani che osserviamo stravaccati sulle panchine di una piazza, intenti a proferire volgarità di ogni specie accompagnate da gesti altrettanto poco nobili e che per passatempo lanciano pietre in direzioni che neanche loro conoscono? Assumeremmo dipendenti che oltre 200 lemma d’italiano e 300 di dialetto non sanno andare, tra l’altro proferiti con una raccapricciante sufficienza, e tutto il resto è linguaggio marziano? Certo non bisogna generalizzare, ma neanche fare come gli struzzi non ammettendo che alcune volte si è causa dei propri mali. Vi sono giovani che meriterebbero attenzione perché hanno investito il tempo nello studio, nel lasciarsi educare anche alla luce del galateo, tanto desueto oggi quanto urgente da riscoprire, in altre parole hanno messo a frutto i talenti. Agli altri occorrerebbe dire francamente che il tempo in cui si saliva sul carrozzone a prescindere della reciproca utilità, è finito. Tale realismo realizzerebbe il bene di tutti fungendo da premio o da sprone, smaschererebbe l’ipocrisia e comunque aiuterebbe a non giudicare solo, dando voce esclusivamente alla pancia,  ma a rimboccarsi le maniche tutti insieme.

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