Caterina Cimino: e se fosse lei la vittima ?

Aldo Bianchini

SALERNO – La stampa, purtroppo, anche nei casi più delicati continua a muoversi soltanto sull’onda di specifiche e precise veline. Insomma si dà soltanto la notizia istituzionale e nessuno si preoccupa di aggiungere un commento interpretativo, anche al fine di spiegare meglio ai lettori la materia del contendere. Mi riferisco, nella fattispecie, al caso eclatante che sta devastando la vita personale e la carriera di una delle più brave, attente, meticolose e preparate tra i “dirigenti scolastici” oggi sul mercato. La professoressa Caterina Cimino, difatti, a scanso di ogni equivoco è stata ed è una delle dirigenti più stimate dall’opinione pubblica. Detto questo passo rapidamente ai fatti. La Cimino è stata accusata di “mobbing” dalla professoressa Teresa Masi nell’anno di grazia 2008, quando entrambe lavoravano presso l’Istituto scolastico “A.Genovesi” di Salerno; la  prima come dirigente e la seconda come docente. La vicenda, tra accuse, risposte e controaccuse è andata avanti per anni nelle mani del pm Mariacarmela Polito fino a qualche mese fa quando, la predetta ha trasmesso il fascicolo al gup Donatella Mancini che qualche giorno fa ha disposto il rinvio a giudizio della Cimino. Senza entrare nel merito, solo scandalistico delle accuse rispetto alle poche notizie trapelate per conto della difesa, pur nella comprensibile esigenza editoriale di un’accusa che fa più notizia della difesa, ritengo che un giornale che vuole fare informazione seria dovrebbe innanzitutto ergersi al di sopra delle parti per illustrare ai lettori almeno due aspetti della vicenda: cosa è il mobbing e qual è la funzione di un dirigente pubblico.  A dirimere la contesa tra le parti in causa ci penserà il giudice naturale chiamato ad un compito difficilissimo. Diciamo innanzitutto che il mobbing è “”un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracizzazione, etc.) perpetrati da parte di uno o più individui nei confronti di un altro individuo, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso””. Il mobbing si cala alla perfezione nel rapporto esistente tra un datore e un lavoratore (esiste anche quello di tipo familiare, ma non ci interessa!!). Fino a qualche anno fa il mobbing era soltanto una parola astratta utilizzata in altri Paesi; da noi è divenuta di grande attualità per merito dei sindacati che hanno, così, inteso contrapporre un valido muro di gomma contro lo strapotere che i “dirigenti pubblici” andavano mano a mano acquisendo anche sull’onda giustizialista e sulla spinta dell’opinione pubblica che per quanto riguarda il “pubblico impiego” ha sempre, e forse a giusta ragione, storto il naso. E qui si innesta la funzione ed il compito del “dirigente pubblico” che l’opinione pubblica e la stessa legge vorrebbe più determinato e più decisivo nei giudizi di merito verso i dipendenti che è chiamato ad amministrare. Insomma, siamo alle solite, di fronte al più classico dei teatrini nostrani; da una parte pretendiamo che i dirigenti siano severi e decisionisti, dall’altra forniamo strumenti alla controparte in grado di devastare l’azione dirigenziale. Ecco la domanda e/o la riflessione che un giornale (e per esso un giornalista, se non proprio un direttore !!) dovrebbe sempre porsi prima di sparare a zero soltanto notizie a carico e mai a difesa: “Fino a che punto può spingersi un dirigente nel disciplinare l’attività del proprio dipendente senza cadere nella trappola del mobbing “. In verità questa è una domanda che dovrebbero porsi anche i magistrati prima di ogni loro legittima decisione. Del resto questa domanda è il “filo conduttore” del libro “I nullafacenti” (ed. Mondadori) di Pietro Ichino. Anzi per dirla tutta Ichino nella prefazione è molto duro e si chiede: “Perché, mentre si discute di tagli dolorosi alla spesa pubblica per risanare i conti dello Stato, nessuno propone di cominciare a tagliare l’odiosa rendita parassitaria dei nullafacenti ?”.  Per carità il mio non è assolutamente un giudizio sul caso di specie ma soltanto una considerazione di carattere generale che, comunque, chi vuole seriamente operare nel mondo dell’informazione deve porre ai propri lettori. Un ragionamento che, ovviamente, non inficia e non mette in discussione né l’operato dei magistrati né gli atteggiamenti diversi e contrapposti delle parti in causa. Il giudizio ci dirà la verità, almeno quella giudiziaria.

One thought on “Caterina Cimino: e se fosse lei la vittima ?

  1. Bravissimo!! Ribadisco il concetto le tue riflessioni sono molto apprezzabili quando non interessano la politica.

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