Crolla il Pil dell’Eurozona: nessuna meraviglia

 

Filippo Ispirato

La notizia che ha sconvolto i mercati finanziari negli ultimi due giorni della settimana borsistica appena trascorsa è stata la contrazione del Prodotto Interno Lordo di Eurolandia.

L’effetto domino, un anno fa solo paventato e temuto, è arrivato: la recessione ha colpito non solo gli anelli deboli dell’Unione Europea, quali Portogallo, Spagna o Grecia ma anche Italia, Francia e Germania.

Nel nostro paese abbiamo assistito alla sesta contrazione del Pil trimestrale consecutiva, una recessione che dura da oltre 18 mesi e che ha portato a chiudere il 2012 con un calo del 2,2% rispetto all’anno precedente.

Se l’Italia piange, Francia e Germania non ridono: all’Eliseo quest’anno l’economia si è contratta dello 0,3% e sembra che il famoso tetto del 3% del rapporto Deficit/Pil non sarà rispettato, arrivando addirittura a superare quota 4,5%; a Berlino l’economia si contrarrà dello 0,6% a causa anche del calo delle esportazioni verso i paesi dell’Europa meridionale alle prese con un forte aumento della disoccupazione ed il calo della produzione industriale.

Crisi aggravata ancora di più dall’impossibilità dei paesi membri dell’Eurozona di agire sul cambio: la possibilità di svalutare l’euro per favorire le esportazioni è competenza esclusiva della Banca Centrale Europea a Francoforte. Comportamento invece adottato in questi mesi dal Giappone, il cui primo ministro Shinzo Abe ha fatto pressioni sul Governatore della BoJ (la banca centrale giapponese), Masaaki Shirakwa, affinché svalutasse lo yen, la moneta nipponica, per favorire l’economia oltre ad una serie di manovre di espansione monetaria per stimolare i consumi e far uscire il paese dalla stagnazione (a breve verrà eletto il nuovo governatore della BoJ e si dovrà verificare se verrà mantenuta questa politica).

La situazione è grave ma sicuramente non deve cogliere di sorpresa nessuno: la ricetta per la crescita e lo stimolo delle mature economie occidentali è complesso ma va ricercato attraverso nuove logiche di sviluppo.

Ostinarsi ad aumentare la tassazione e ridurre la spesa pubblica, acuire i controlli del fisco mettendo in atto un vero e proprio terrorismo finanziario, ridurre il costo del lavoro solo attraverso lo smantellamento dei diritti dei lavoratori ha avuto come conseguenza quello di paralizzare le economie europee in maniera ancora maggiore di quanto già non lo fossero.

Il nuovo modello di sviluppo da ricercare si deve basare su una nuova visione dell’economia:

–          bisogna cominciare a specializzarsi sempre più in ciò che si fa bene ed in cui si è esclusivi; cosa che per l’Italia si traduce in settori quali l’agroalimentare, il design o la moda, ad esempio. E’ inutile cercare di competere con altri paesi basando la propria forza produttiva su beni standardizzati, che un’impresa vietnamita o bengalese è in grado di realizzare ad un costo nettamente inferiore

–          i paesi emergenti, ormai colossi economici, si devono guardare in un’ottica differente: non più come una minaccia incombente, ma come nuovi mercati di sbocco dove esportare i propri prodotti, considerati spesso veri e propri status symbol per i nuovi magnati russi o cinesi, o anche come target per la propria offerta turistica

–          limitare le drastiche politiche fiscali di riduzione del debito e preferire delle misure più leggere di ridimensionamento del debito pubblico accumulato e di contenimento del deficit, tagliando in maniera più incisiva gli sprechi e le sacche di inefficienza

–          favorire in maniera costante, grazie ad un’azione congiunta delle forze sociali, economiche, finanziarie e politiche dei paesi membri di Eurolandia, lo sviluppo di nuovi modelli di economia sostenibile che richiedano la nascita di nuove professionalità e di opportunità lavorative per i giovani, che sono al tempo stesso la fascia più debole della popolazione e il futuro di una nazione  Che il momento attuale sia difficile è noto e risaputo, ma, a nostro parere, solo attraverso un cambio di atteggiamento si potrà affrontare il futuro in maniera serena e costruttiva, andando a sradicare vecchie logiche e modelli economici ormai superati.

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