Universita’: Carmine Pecoraro morto in servizio. L’umiltà al servizio dello Stato.

 di Michele Ingenito

Raggelati dalla notizia, addolorati dalla sua morte. Era un brav’uomo, di quelli genuini che trascinano in sé il meglio delle proprie origini contadine, pur operando al servizio di una istituzione così prestigiosa. Tutte le mattine, o quasi, di buon’ora, lo incontravamo sempre lì, al suo posto nel Dipartimento, intento ad operare tra la propria stanza e la sala-lettura, all’interno della quale agiva da mago su quella che, per tutti noi, era un troppo complicato macchinario, la fotocopiatrice d’avanguardia ad uso dei docenti. Ci accoglieva con il solito sorriso aperto e leale, accompagnato dall’inevitabile saluto a viva voce, la cui eco rimbombava lungo i corridoi ancora vuoti di primo mattino, estate o inverno, senza differenza alcuna. In tutti i luoghi di lavoro si condensano, di solito, i soliti gruppi di comune frequentazione, all’interno dei quali, si stabiliscono nel tempo rapporti di amicizia e di stima. Tante micro-‘famiglie’ concentrate quotidianamente a vario titolo, per portare avanti la ‘baracca’ dello Stato. Carmine non approfittava mai di tutto ciò, educazione e rispetto contraddistinguevano i suoi comportamenti, ispirati da quell’origine contadina di antico sapore storico, ai quali non tutti sanno adeguarsi nella presunta evoluzione sociale che spesso li accompagna. Amava la terra, la lavorava nei giorni di libertà e nei ritagli di quelli riservati al lavoro istituzionale, ne portava l’impronta nel dire e nel fare. Valori ai quali non ha mai rinunciato, nel rispetto delle sue origini autentiche, di cui quella terra è sempre stata limpido specchio e ritratto orgoglioso.

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