Operazione “Chernobyl”: Sapremo mai la verità ?

 

 Antonio Citera

CASERTA – Dalla relazione fatta dal Comando Carabinieri per la tutela dell’ambiente, Nucleo Operativo Ecologico di Caserta e, trasmessa  alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica si  evince che:

 L’operazione convenzionalmente denominata “Chernobyl” è stata condotta nell’ambito del procedimento penale n. 8976/07 R.G. notizie di reato mod. 21 della procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere; pubblico ministero dott. Donato Ceglie. I reati contestati sono quelli di associazione per delinquere finalizzata allo smaltimento illecito di ingenti quantitativi di rifiuti speciali, di disastro ambientale, falsi in genere ed altri reati satelliti. Come già sostanzialmente verificato nelle inchieste “Madre Terra” e “Madre Terra II”, i rifiuti illecitamente smaltiti dall’associazione, anziché essere sottoposti effettivamente ed oggettivamente ad attività di recupero presso gli impianti di compostaggio, venivano di fatto illecitamente smaltiti “tal quali” sui fondi agricoli all’uopo individuati. In alcuni casi, i rifiuti liquidi provenienti dalle navi approdate presso il porto di Napoli, con la complicità di un impianto di depurazione privato, ubicato nella provincia di Napoli, non venivano affatto conferiti presso detto impianto di destinazione per essere smaltiti illecitamente, direttamente dal trasportatore. Venivano quindi emessi ed eseguiti, in data 04.07.2007: 38 Fermi di indiziati di delitto; 9 decreti di perquisizione locali e domiciliari; 3 decreti di sequestro di impianti di recupero rifiuti; 4 decreti di sequestro di impianti di depurazione pubblici; 1 decreto di sequestro di impianto di depurazione privato; 1 decreto di sequestro di deposito automezzi di ditta dedita al trasporto dei rifiuti; 37 decreti di sequestro di automezzi; 14 decreti di sequestro di fondi agricoli utilizzati come discariche abusive di rifiuti.

Si parla di rifiuti tossici, tanti, pericolosi, un traffico malavitoso che finiva la sua corsa della morte proprio nel Vallo di Diano. Almeno questo risulterebbe dalle carte dell’indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua a Vetere, che indagò 38 persone tra cui due del Vallo di Diano. Tutto questo nel lontano 2007. Da quel momento, la rincorsa ad un processo che evidentemente quasi  nessuno vuole fare. Lo vogliono i cittadini, lo vogliono alcune associazioni che si sono costituite parte civile, ma evidentemente la parte che conta, quella che decide, quella che dovrebbe far trasparire la reale situazione, proprio non ne vuole sapere. Sono sei le zone dove venivano sversati i rifiuti tossici individuate dai magistrati: località Tempa Cardone, circa 12.000m2, San Pietro al Tanagro, zona Buco Vecchio, Teggiano, località Sannizzi, Sant’Arsenio, località Via Larga, San Rufo, località Serroni di Montecorvino Rovella, zona ponte Barizzo, Capaccio. I materiali che vi sarebbero stati sversati invece sono di diversa tipologia e vanno dagli scarti di tessuti vegetali, urine e letame di animali – comprese lettiere usate – fanghi prodotti da trattamento di lavaggio rifiuti in alcuni depuratori, residui della distillazione di bevande alcoliche, miscugli triturati di scorie di cemento e agenti chimici, liquidi prodotti dal trattamento di rifiuti di origine animale, fanghi prodotti dal trattamento delle acque delle fognature e di impianti industriali. Addirittura i fanghi delle fosse settiche delle navi approdate nel porto di Napoli. Nel Vallo di Diano e nelle zone interessate, i cittadini hanno seriamente paura, chiedono la verità, chiedono giustizia, chiedono a sindaci di costituirsi parte civile, chiedono un “processo” che, dopo il trasferimento degli atti al Tribunale di Salerno, sembra allontanarsi sempre di più. Un luogo comune in Italia, madre della giustizia spesso negata, sperperata e sviata sui floridi  sentieri di una speranza che il più delle volte rimane tale.

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