Sassano in rosa: Fausto Coppi tra mito e declino

 

Maddalena Mascolo

 

SASSANO –  Il 31 maggio del 1953 il Giro d’Italia sembrava finito e vinto dal poderoso Ugo Koblet; il Falzarego, il Pordoi e il Sella (tre passi dolomitici durissimi) non sono stati sufficienti per smantellare la tenace resistenza dello svizzero. Arrivano insieme al traguardo di Bolzano e Coppi rimane distaccato di 1’59” dal rivale. La notte è difficile per Koblet (febbre e tensione nervosa), ma anche per Coppi non mancano le difficoltà: dissenteria. I rispettivi staff sanitari lavorano alacremente, il giorno dopo bisognerà affrontare lo spauracchio del Giro, il passo dello Stelvio (2.752 mt. slm), la guglia più alta e vertiginosa della cattedrale gotica del ciclismo. La dissenteria è un male che accompagna Fausto Coppi da diversi anni causando una limitazione delle sue imprese sportive. Lo sanno tutti, lo sa anche Ugo Koblet che viene avvertito in nottata del malore dell’avversario. Ma non c’è più tempo, alle 13.15 del 1° giugno 1953, viene dato il via della penultima tappa da Bolzano a Bormio. Poco prima del via con l’eleganza di sempre Fausto si avvicina ad Ugo e gli stringe la mano facendogli i complimenti per il giro già vinto. Gli altri ciclisti si fermano a guardarli, Koblet sembra un gigante, Coppi un pulcino bagnato. Fausto, consigliato dal suo fedele Milano, chiede ad Ugo di togliersi gli occhiali scuri da sole, vuole guardarlo negli occhi che non mentono mai. Capisce e zittisce. L’atmosfera sa di pace, ma l’aria sa di guerra senza esclusione di colpi. Scatti e contro scatti dei comprimari, poi allungano Carrera, Bartali e De Filippis, ma sono soltanto azioni dimostrative. C’è lo Stelvio che con la sua maestosità attende i ciclisti per la prima volta nella storia del Giro. Poco prima della salita si alza sui pedali Koblet, sembra un marcantonio, imponente e possente, incute timore, spaventa tutti, Coppi fa finta di niente e aspetta. A Prato allo Stelvio, quando l’asfalto si esaurisce e comincia lo sterrato, quando la valle si trasforma in calvario e il calvario si arrampica in 48 tornanti, Carrera pesta sui pedali, abbassa il crapone, alza l’andatura, incendia la corsa. Il gruppo esplode. Carrera continua, forza della natura e dell’agricoltura, Coppi segue Carrera come un rimorchio, Koblet segue Coppi come un’ombra. A 12 chilometri dalla vetta, scatta il ragazzino, il Cit, Nino Defilippis. Lo si saprà, solo molti anni dopo, che è stato Coppi ad accenderlo. E con la scusa di inseguirlo, Fausto può finalmente sentirsi libero di fare la corsa, sciogliere il patto di non belligeranza e attaccare Hugo. Fausto vola, Koblet si pianta. Sulla vetta il grande Fausto scrive una delle pagine più memorabili della storia di tutto il ciclismo; Koblet passa con un ritardo di 4’25; mancano, però, ancora 22 km di discesa e Coppi non può ancora festeggiare la vittoria. Centellina le sue energie, in discesa non può niente contro il poderoso avversario. Koblet rischia, vola, vola due volte, prima per terra, poi al traguardo. Primo Coppi, secondo Fornara, terzo Bartali, Koblet finisce a 3’28″. E Coppi lo sorpassa anche in classifica, con un margine di 1’29″. La rosa, la quinta ed ultima della carriera, sarà sua. Milano, la città, l’intero Paese lo aspetta al Vigorelli per tributargli il meritato trionfo. Ma quanto è diverso Fausto Coppi da quello dell’anno precedente, il 1952, in cui aveva vinto Giro e Tour per la seconda volta nella sua carriera, e quanto è diverso da quella mitica cavalcata del 1949 quando nella terzultima tappa del Giro, la Cuneo-Pinerolo, si mise in fuga per circa 200 km. E valicò da solo i cinque passi alpini, tanto da far gridare al grande giornalista Mario Ferretti, ai microfoni di radio Rai, la storica frase: <<Un uomo solo è al comando; la sua maglia è bianco-celeste; il suo nome è Fausto Coppi>>. Ma quanto è diverso dal mitico <<Fostò>> che i francesi osannano nel Tour del 1949, prima partecipazione e prima vittoria.  Coppi alla fine del Giro del 1953 appare spento, quasi come se avesse esaurito le sue batterie psico-fisiche, non riesce neppure a godere fino in fondo il trionfo, la <<dama bianca>> già lo aspetta in silenzio e in disparte; forse per questo, per tutto questo, l’impresa dello Stelvio viene ricordata con maggiore enfasi rispetto alle altre di gran lunga più importanti e significative; poi a fine estate ha  un sussulto d’orgoglio e vince anche il mondiale su strada. Ma la sua carriera finisce lì; così come finisce il suo mito che presto viene travolto, o almeno qualcuno cerca di travolgere, sotto una coltre di fango e di polemiche che si spinsero fino alla mattina del 2 gennaio 1960 quando molto prematuramente cessò di vivere a causa della malaria contratta in una battuta di caccia in Africa. Le cattive lingue subito dissero che Coppi aveva ceduto alla banale malaria perché il suo fisico era esaurito ovvero pieno di sostanze non perfettamente in linea con l’attività sportiva e con i suoi straripanti successi su tutte le strade del mondo ciclistico dell’epoca. Amato da tutti i tifosi francesi, amato soltanto da una metà dei tifosi italiani che a lui accoppiavano Gino Bartali, anche per motivi politici. Ha spaccato anche l’opinione degli storici del ciclismo sulla domanda: <<Coppi è stato l’ultimo vero campionissimo del ciclismo tutto sacrificio e sudore o il primo dei campionissimi  del nuovo ciclismo in provetta ?>>. Il carnet del campionissimo è strabiliante: 120mila chilometri percorsi in gara; 118 le vittorie su strada; cinque giri d’Italia e due Tour di France; 5 Lombardia; 30141 km. percorsi in fuga; 18 vittorie solo nel 1952, l’anno più prolifico; 3 titoli mondiali (di cui due a inseguimento su pista); 6 mila lire il premio per la vittoria del Giro del 1940; nel 1956 l’ultima gara effettiva vinta con Ercole Baldini ;  8.45 l’ora della sua morte il 2 gennaio 1960 all’età di 40 anni. Numeri che fanno impressione, quasi paura, e suscitano, ovviamente, anche delle perplessità sulla tenuta psicofisica di un atleta che ha pedalato dal 1939 fino al 1959, che è stato in guerra, che è caduto fratturandosi le ossa più volte, che ha subito la triplice frattura del bacino, che ha avuto una vita di relazione molto movimentata (dalla moglie alla dama bianca !!). Fausto Coppi non era uno che vinceva in maniera normale. Le sue erano imprese sensazionali, cose mai viste. Storie bellissime. I successi conquistati in 20 anni di carriera parlano chiaro. La leggenda di Coppi era cominciata sulle strade del Giro d’Italia del 1940 come gregario-acquaiolo di Gino Bartali (il Ginettaccio nazionale); diede il primo sussulto al suo capitano in pianura, staccandolo e mortificandolo. Gino disse che chi era bravo in pianura pagava dazio in salita. Il dazio, però, lo pagò Bartali e nella Firenze-Modena sull’Abetone fu decisamente staccato e Fausto conquistò la prima maglia rosa della sua vita sportiva. Poi seguirono lunghissimi anni di incomprensioni, di tensioni, di scontri anche politici; Bartali rappresentava la D.C. e Coppi il P.C.I. in un’Italia divisa non soltanto tra coppiani e bartaliani ma tra comunisti e democristiani. Nel 1948 il primo disgelo tra i due. Quell’anno la DC ha vinto le prime elezioni repubblicane con il 48% dei voti e la vittoria si ripercuote nello sport con l’esclusione di Coppi dal primo Tour de France del dopoguerra; Gino Bartali è il capitano della squadra italiana, ma gli scettici non scommettono su Ginettaccio. Difatti dopo metà Tour, prima del riposo del 14 luglio, il capitano italiano ha già accumulato un ritardo di ben 21’ dal francese Louison Bobet. Ma il 14 luglio 1948 in Italia c’è’ l’attentato a Palmiro Togliatti, si teme lo scontro frontale tra democristiani e comunisti. Da più parti si sussurra che in quelle ore drammatiche Coppi abbia telefonato a Bartali per incoraggiarlo ad andare avanti. Gino nei giorni successivi incomincia a vincere, a recuperare il terreno perduto, a stravincere il suo secondo Tour de France, dopo aver vinto quello del 1938. L’Italia è in festa, lo scontro è azzerato, ha vinto la conciliazione. Cosa sapevano fare gli uo9mi8ni di quel tempo !!  Ma il vero capolavoro di concertazione i due grandi rivali lo compiono il 6 luglio 1952: la canicola arroventa le strade di Francia, teatro del Tour, dai transalpini definita la più importante gara a tappe del mondo. I corridori stanno scalando i duri tornanti del Col du Galibier, in attesa che il padrone del Tour (il mitico “Fostò”) metta in atto la sua promessa: attaccare e lasciare, dopo l’arrivo al Sestriere, gli avversari a una distanza di almeno dieci minuti. Il fotografo lo immortala nell’attimo esatto in cui avviene lo scambio di borraccia con un compagno: davanti la maglia gialla, la faccia e il naso adunco protese in avanti, come a voler fendere l’aria rarefatta di montagna, dietro il compagno di squadra, quello dal “naso triste come una salita, la faccia allegra da italiano in gita“, come cantava Paolo Conte. Nella foto non si capisce chi è che passa la borraccia all’altro, e se da un lato questo mistero divide i tifosi dei due corridori, dall’altro trasforma subito la foto in un’icona: simbolo di una nazione che è sì divisa, ma che vuole ritrovare un’unità, ma soprattutto simbolo di una grande rivalità sportiva, che in corsa a volte degenera, ma che fuori dalla corsa si trasforma in profonda amicizia e reciproco rispetto. Per descrivere la grandezza delle imprese di Coppi, non si può dimenticare lo sconfitto, ed anche se a volte Bartali non era l’avversario da battere, i due erano attori perfetti per creare la contrapposizione: divisi non solo dalla rivalità sportiva, ma anche dallo stile di vita (sanguigno e amante del bere e del cibo Bartali, schivo e scrupolosissimo nella preparazione alla corsa Coppi) e dalle idee politiche, anche se sul dualismo Coppi comunista – Bartali democristiano ci sarebbe da discutere tantissimo. La sua leggenda sopravvive, comunque, ad ogni attacco. Per verità storico-giornalistica bisogna dire che lo hanno difeso più i francesi che gli italiani, e forse per questo non è stato seppellito due volte: la prima dopo il decesso e la seconda sotto le polemiche seguite alla sua morte, anche questa sensazionale, cosa mai vista, come era nel suo stile di vita. Per me, per tutti, Fausto Coppi rimane l’ultimo vero campionissimo del ciclismo tutto sacrificio e sudore. Bene ha fatto il sindaco di Sassano, Tommaso Pellegrino, a sollecitare l’organizzazione di una mostra dedicata alla sua memoria, farà ancora meglio se prima della conclusione del 97° Giro d’Italia, nell’ambito anche della Valle delle Orchidee, riuscirà a dedicare alla figura del campionissimo un apposito momento di pubblico approfondimento.

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