CRESCENT: le contraddizioni della Soprintendenza … da Zampino a Miccio, passando per la Scirè

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Un ente importantissimo come la Soprintendenza per i BAAAS dovrebbe avere una conduzione lineare, legale e al di sopra di ogni sospetto, sempre. Un tale Ente non può permettersi “schegge integraliste” e neppure “molto permissive”; insomma, come dicevo, il problema delle Soprintendenze è quello di trovare il giusto equilibrio. Ed in questo il capo dell’ufficio, cioè il Soprintendente, può agire e muoversi a suo piacimento per tenere sempre la barra dritta; difatti tutti i provvedimenti provenienti dai distretti territoriali (affidati ad un funzionario qualificato) possono essere avallati o meno dal capo procedendo verso il rinnovo degli accertamenti o la idoneità definitiva della pratica. Dato che parliamo di materia molto opinabile che afferisce, in molti casi, la tutela ambientale e paesaggistica la scelta del capo dovrebbe essere quanto mai ponderata dal Ministero e mai politicizzata, anche perché il capo (pur se ingegnere o architetto) va facilmente a scontrarsi con i responsabili dei distretti che sono altrettanti ingegneri e architetti. Ma il livello del capo rimane su un piedistallo ben individuabile per il potere decisionale finale che gli attribuisce la legge. Questo il quadro delle Soprintendenze, in generale. A Salerno è successo di tutto e di più. Per anni e da anni un funzionario della Soprintendenza, responsabile di vari distretti territoriali, secondo i sindaci dei vari distretti assume decisioni sempre in controtendenza rispetto alla progettualità espressa dalle amministrazioni comunali. E il capo quindi la sposta di volta in volta da un capo all’altro delle provincie di Salerno ed Avellino esercitando il diritto-dovere di controllo sulla corretta predisposizione dei pareri fornitigli dalla predetta funzionaria. Di certo va detto che quando la sposta da un distretto all’altro bisognerebbe capirne le motivazioni e le ragioni che inducono a simili trasferimenti, perché delle due l’una: o l’architetto non è capace e andrebbe mandata a casa, o è troppo capace e allora non andrebbe spostata. Parliamo naturalmente di una funzionaria che, a mio parere, è al di sopra di ogni sospetto e se assume “atteggiamenti integralisti” lo fa per cultura e per credo al fine di salvaguardare l’ambiente che per lei, venuta da lontano, è assolutamente sacro. Ma di questo mi occuperò nella prossima puntata svelandovi nome e cognome della funzionaria che del resto è già indicato nel titolo di questo articolo; io non faccio come tanti che lanciano la pietra e nascondono la mano. Perché ho fatto questo lungo preambolo ed ho raccontato la vicenda di questa “funzionaria errante”, l’ho fatto perché a Salerno con i due soprintendenti Giuseppe Zampino e Gennaro Miccio (il primo imputato e il secondo teste d’accusa nel processo Crescent –la mezzaluna di Bofil) è accaduto di tutto e di più. Dal silenzio assenso di Zampino alle titubanze di Miccio la qualità del prodotto non cambia, alla fine nessuno dei due è riuscito ad imporre le proprie scelte strategiche in difesa dell’ambiente. E’ vero che il disastro maggiore, sul piano delle concessioni e delle autorizzazioni, l’ha prodotto Giuseppe Zampino (tanto è vero che è a processo come imputato) ma è altrettanto vero che Miccio ha come congelato tutto quello fatto dal suo predecessore pensando e ritenendo, forse, che fosse sufficiente la posizione di attesa per evitare il disastro avviato da quel silenzio-assenso che era stato adottato (anche legittimamente, per carità) dal precedente soprintendente. Noi tutti, però, eravamo e siamo abituati a interpretare le mosse della Soprintendenza come assolutamente necessarie per la tutela dell’ambiente e dei beni archeologici e culturali; ed abbiamo assistito in passato a rumorosi interventi in materia di ambiente anche quando si trattava di recintare un terreno con paletti di legno (ovviamente ho portato questo esempio quasi assurdo per dare maggiore spessore e significato all’azione di quell’ufficio). In passato abbiamo registrato battaglie ciclopiche tra Soprintendenza e politica per episodi davvero di scarsa rilevanza; invece a Salerno dove il Comune stava edificando un mostro a cielo aperto dell’altezza di oltre trenta metri, senza alcuna autorizzazione paesaggistica, e il Soprintendente dell’epoca che fa: si rifugia nella pratica del silenzio assenso. Come a dire che la Soprintendenza non era capace di definire con chiarezza il suo punto di vista o quanto meno di potersi esprimere in tempi ragionevoli. Assurdo ed incomprensibile; al posto dei magistrati io non avrei messo sotto accusa soltanto il Soprintendente (e la magistratura salernitana lo ha fatto dopo mille perplessità !!) ma avrei incartato tutti i funzionari che, nel tempo, avevano messo le mani su quel voluminoso fascicolo. Badate bene avrei incartato anche quei funzionari che pur avendo espresso parere diverso non erano stati capaci di portare fino in fondo il valore del loro parere. Pochi giorni fa, esattamente giovedì 10 dicembre, c’è stata una nuova udienza del processo e sono rimasto sbalordito dalle dimenticanze di Miccio sul contenuto del fascicolo Crescent e mi sono chiesto come sia possibile che un funzionario di quel livello possa avere dei vuoti di memoria e come sia possibile che il potere politico possa incidere talmente tanto nelle scelte tecniche e ambientaliste della Soprintendenza. Partiremo proprio da qui nella prossima puntata di questa brutta vicenda.

One thought on “CRESCENT: le contraddizioni della Soprintendenza … da Zampino a Miccio, passando per la Scirè

  1. Salerno non eccelle – come del resto la quasi totalità delle località italiane – nella difesa dell’ambiente naturale e/o delle sue peculiarità paesaggistiche.

    I resti del famoso “acquedotto medioevale” sono stati soffocati da edifici costruiti proprio a ridosso dello stesso. Si tratta di palazzi – qualcuno in origine costruito abusivamente – che lasciano in vista solo il tratto a cavallo di via Arce, ma coprono totalmente le restanti parti, con le sue diramazioni ad arcate multiple, oscurando quindi le vestigia di un periodo importante della storia salernitana.

    A via Roma, fu consentita la sopraelevazione di un edificio, già adibito ad albergo, fino ad una altezza superiore al doppio di quella degli edifici circostanti. Ora si levano critiche alla torre della nuova Cittadella giudiziaria. Ma … quella è opera di un famoso architetto e si inserisce nel contesto in maniera diversa rispetto all’anomalo spettacolo offerto dalla torre (??) di via Roma.

    C’è un collegamento stradale all’uscita del porto commerciale che non poteva essere concepito e costruito nella maniera più infelice, sia dal punto di vista funzionale che soprattutto da quello estetico e di impatto ambientale. Si tratta del famigerato viadotto Alfonso Gatto. Esso sormonta con i suoi alti piloni e le pesanti campate le sottostanti palazzine i cui abitanti – qualcuno a suo tempo ne prese la difesa? – sono continuamente “deliziati” da rumori e vibrazioni provocati dal transito di Tir e grossi automezzi. Visto a distanza poi, dal mare o dal lungomare, appare chiaramente come un manufatto improprio che mal si inserisce nello sfondo collinare del monte Bonadies.

    Il fronte mare che si estende da Pastena a Mercatello rappresenta il peggio di quanto una politica di autorizzazioni urbanistiche potesse concedere. Una totale assenza del concetto del bello – che pure architetti ingegneri e urbanisti dovrebbero possedere – ha determinato l’obbrobrio venutosi a creare in quella zona: un agglomerato di case, con una viabilità interna contorta e irrazionale, e una serie di anonimi palazzi prospicienti il mare, che dovevano sorgere con un diverso decoro architettonico, se non altro perché situati in continuazione degli edifici che abbelliscono il lungomare Trieste. Si possono ora apprezzare gli sforzi tendenti a rendere turisticamente accettabile anche quella parte della città. Ma … l’unica soluzione radicale sarebbe: “abbattere e ricostruire”. IMPOSSIBILE!!

    La collina di Giovi. Tanti anni fa (anni cinquanta), in occasione della festa degli alberi, gli alunni delle scuole elementari e medie venivano accompagnati lassù – e sembrava di salire su alte vette!! – per piantare alberelli ed essenze varie e per imparare ad amare e apprezzare il verde. Quegli alberi col tempo sono prima cresciuti ma poi – e temo purtroppo anche ad opera di qualcuno che li aveva messi a dimora – sono stati sistematicamente abbattuti per far posto a villette collinari e panoramiche. Così, quella che doveva essere una cornice verde è diventata una cornice di cemento!!

    Qualunque cosa fosse stata costruita al posto dei ruderi del vecchio cementificio sul lungomare Tafuri avrebbe dato a quella zona un aspetto più decente. Eppure ad un grande albergo situato di fronte ad un golfo con una vista panoramica spettacolare, forse si sarebbe potuto dare una linea architettonica più armoniosa e più elegante di quanto non lo sia quella attuale del Grand Hotel Salerno. Per giunta, dal punto di vista funzionale, è inspiegabile perché non si sia previsto che la struttura, pur con tanti spazi a disposizione, non dovesse avere, non dico tanto un proprio parcheggio per gli ospiti – comunque necessario – quanto addirittura presentarsi privo di uno spazio antistante l’ingresso ove far sostare autovetture e pullman, almeno per le operazioni di trasbordo bagagli.

    Ovviamente, è inevitabile che in occasione di grandi operazioni di re-urbanizzazione di città o quartieri si manifestino consensi e/o dissensi, entrambi supportati da opinioni e punti di vista che rimandano a canoni estetici o a puri riferimenti di opportunismo politico o di interessi privati.

    Tuttavia, quando determinati interventi sono mirati al risanamento di aree degradate, sarebbe auspicabile non ignorare le situazioni preesistenti.

    Il corso cittadino del fiume Irno, fino ad alcuni decenni fa era sottratto alla vista e se ne intuiva solo la presenza al di là di una folta vegetazione incolta. Ora le rive sono state bonificate e, volendo, sono anche percorribili a piedi o in bicicletta. Parallelamente c’è una nuova arteria, la lungoirno, con lo sbocco diretto verso il lato mare attraverso un apposito sottopasso. Ancora si è alla ricerca della soluzione per ottimizzare i flussi del traffico veicolare che interessa tutta quell’area. Ma è palesemente ingiusto sostenere che tutto il lavoro di bonifica di quel quadrante sarebbe da buttar via.

    Sul lato nord-occidentale della città, a ridosso del porto commerciale molti ricorderanno in quale stato, difficile da definirsi, si trovasse l’area, che vedeva affiancati un hotel in via di dismissione, una spiaggia deturpata da detriti e immondizia di vario genere, depositi di legname, rottami e relitti di natanti da demolire, ecc. e nottetempo frequentata da … umanità varia.

    L’intento di porre ordine in tanto dissesto ambientale ha destato perplessità già dal momento in cui ne è stata data comunicazione. Addirittura si sono levate voci in difesa dello status quo ante.

    Quando poi sono partiti i lavori, la ben nota burocrazia italica non è stata in grado di recepire immediatamente le tante controindicazioni presentate da diversi soggetti, ma ha fatto andare avanti i lavori che hanno raggiunto un avanzamento più che visibile. Ora ci si accapiglia su questioni paesaggistiche, su misurazioni fatte, contraddette e rifatte, su oneri di urbanizzazione, sulla deviazione di un torrentello che potrebbe causare esondazioni a monte, dimenticando che nel 1954 non le impedì pur avendo, all’epoca, la foce nella sua naturale configurazione originaria.

    C’è il solito scaricabarile e il rinvio ad altri di responsabilità che non si è stati in grado di assumere quando richieste. A seguire, azioni giudiziarie in sede penale e amministrativa, richieste di risarcimenti danni, cantieri sequestrati, lavori interrotti, ecc.

    Fermi in mezzo al guado, non si procede a completare le opere, e neppure si può tornare indietro per disporre eventuali demolizioni.

    Di tutto questo, ovviamente, diventa difficile indicare i responsabili, salvo ricorrere al solito cliché di quello che “non poteva non sapere”.

    Ora che finalmente anche la nuova Stazione Marittima, capolavoro di Zaha Hadid, sta per iniziare a funzionare e accoglierà i croceristi che già numerosi arrivano in città con le grandi navi, risulterà ancora più stridente il contrasto con il resto della piazza e con il vicino emiciclo che continuano ad essere tenuti nel … limbo!!

    Urgono decisioni rapide.

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