Dossier Salerno/31: la nascita del sistema … parte terza

Aldo Bianchini

SALERNO – Dato il giusto peso alla cronaca con la sentenza SEA PARK che ha mandato assolto nuovamente il governatore Vincenzo De Luca è doveroso ritornare alla ricostruzione dei momenti salienti per la nascita e la crescita del “sistema di potere deluchiano” che prende quota, come già detto nei precedenti capitoli di questa lunga storia, tra gli anni 92 e 93. Senza trascurare il lungo periodo di incubazione vissuto, direttamente dal kaimano, nelle segrete stanze della segreteria provinciale del PCI, del PDS, dei DS e del PD.

In quei due anni i potenziali avversari politici di Vincenzo De Luca vengono, uno ad uno, massacrati dalla tangentopoli salernitana; i magistrati dell’epoca si danno una verginità assoluta e credibile perché prima dei grandi politici attaccano e, in qualche caso, arrestano diversi colleghi magistrati. Il caso più eclatante è quello del prof. Alfonso Lamberti, già pm a Salerno e procuratore capo a Sala Consilina e infine giudice del lavoro presso la Corte di Appello a Napoli. Agli inizi dell’aprile ’93, il fango di Pasquale Galasso sommerse letteralmente il giudice Alfonso Lamberti, che finì tristemente in manette su ordine del p.m. Alfredo Greco. L’accusa era infamante: dalla camorra, 150 milioni per indurre il giudice a dissequestrare i beni della mala, oltre a ricevere favori ed entrature nel mondo sconosciuto della malavita organizzata, per giungere ai mandanti degli assassini della figlia Simonetta, barbaramente trucidata, una decina di anni prima, mentre con il padre in auto stava rientrando a Cava dei Tirreni, dopo un bagno a Vietri. Quel pomeriggio di fuoco segna la fine del mitico “Alfonso ‘a manetta“, cosi veniva definito il pm Lamberti, che per tanti anni aveva operato nel Tribunale di Salerno (come protagonista anche nel sequestro Amabile !!) e che da qualche tempo occupava il posto di Capo della Procura di Sala Consilina. Gli anni successivi furono un vero calvario per il giudice temerario, sostanzialmente buono, profondamente innamorato della propria famiglia e certamente lontano dagl’intrecci malavitosi. Venne letteralmente sfasciata la vita privata del magistrato, si parlò dei rapporti con la moglie e addirittura di un occulto piano ordito dallo stesso magistrato per l’eliminazione fisica della consorte; insomma un quadro sconcertante della vita di un uomo che, fino a qualche mese prima, era apparso come un mito agli occhi dei più, comunque dotato di un senso investigativo fuori dal comune.

Questo il quadro politico giudiziario di quel momento, un quadro in cui si infilavano anche possenti e potenti capi bastone della malavita organizzata, un quadro che mi induceva a chiedere al mio politico di riferimento notizie più precise in merito al fine di capirne di più. Da socialista avevo scelto la corrente di Francesco Curci che appariva a tutti come una figura al di sopra di ogni sospetto, anche perché lo stesso Curci stava allevando come suo delfino il giovane Gianni Iuliano (sindaco di Bracigliano e poi senatore della Repubblica). Curci poteva in quel momento storico di cambiamento rappresentare la nuova stella, il vero nuovo leader che la sinistra salernitana potesse mai immaginare. Ed avrebbe sicuramente potuto oscurare la stella nascente di Vincenzo De Luca che in quel periodo era considerato soltanto un buon personaggio operante nell’archivio del partito comunista di Via Manzo. Per tutte queste cose agli inizi del mese di aprile del 93, passeggiando per il lungomare di Salerno, dopo un’ intervista televisiva, ripresi per l’ennesima volta lo stesso argomento e chiesi a Francesco Curci (Sottosegretario di Stato ai lavori pubblici), il perché del suo non attacco contro Conte che in quel momento appariva in forte caduta, anche alla luce di un articolo del quotidiano La Repubblica che il 1° aprile aveva dato la notizia di voci su un possibile avviso di garanzia in danno di Carmelo Conte che fino a qualche settimana prima era stato Ministro per le aree urbane. Insomma, secondo me, quello era il momento migliore per abbattere l’epoca Conte e per poter ereditare il suo peso politico all’interno del Partito Socialista Italiano. Curci mi guardò perplesso e poi, viste le mie insistenze ed al fine di evitare che io potessi avere dei dubbi sulla sua figura ovvero sulla sua linearità politica, si decise a riferirmi i principali tre motivi della sua separazione politica da Conte, iniziata nel 1986 nel cinema Valle di Giffoni V.P. e consacrata nel 1988, nel corso di un infuocato congresso provinciale del PSI di Battipaglia (convegno che io avevo vissuto in prima persona e che aveva registrato non poche azioni di scellerate intimidazioni della maggioranza contiana contro la minoranza curciana):

1)      Il comportamento sleale di Giovanni Sullutrone nella campagna elettorale dell’ 87;

2)      la costituzione dell’amministrazione comunale di Nocera Inferiore con Marilita Realfonso contro Guerritore e Celotto;

3)      la frequentazione di Conte delle ambasciate romane della Germania Est e degli USA e la sua presenza ad una riunione in Jugoslavia con esponenti comunisti e socialisti di varie Nazioni, nell’ambito della “Associazione generale per la pace” proprio nel periodo in cui il nascente Massimo D’Alema frequentava un corso di formazione nella Germania Est.

Una separazione che Francesco Curci, dall’alto della sua trasparenza comportamentale, avvertiva soltanto sul piano squisitamente politico, mai su quello personale; insomma mai e poi mai una parola rivelatrice e/o devastante contro quello che era diventato, dopo una grande amicizia, il suo nemico politico numero uno. Nei lunghi viaggi in macchina con l’allora sottosegretario, sia io che Gianni Iuliano, non registrammo mai una sola parola di cattivo gusto contro Carmelo Conte; semmai eravamo noi che scardinare, senza esiti positivi, la tenace volontà di Francesco di essere sempre una persona perbene.

Ed anche quella volta, passeggiando sul lungomare di Torrione proprio dinanzi alla piscina comunale (con Mario Lo Bianco che registrava ogni nostro colloquio) il compianto Francesco Curci mi disse tutto per non dirmi niente e non mi disse niente per dirmi tutto; conservo ancora e gelosamente la registrazione di quella intervista.

Curci continuò dicendo che, per comprendere meglio le vicende salernitane, bisognava sapere quale era stato, e quale era, il ruolo dei servizi segreti nelle indagini connesse alla vita privata dei personaggi politici; mi parlò dell’incontro di un ufficiale dei servizi segreti in casa di Gaspare Russo con Paolo Del Mese nell’anno ’87; del blitz preparato poco prima delle politiche del 92 nella zona di Eboli, con la distribuzione di materiale propagandistico di Conte tra la malavita locale e di un’operazione a carico di una nota azienda salernitana della sanità privata (poi identificata nella clinica “La Quiete” di Leonardo Calabrese), una clinica dove le forze dell’ordine pensavano di trovare nascosto il potente boss della camorra Carmine Alfieri dopo l’uccisione del suo braccio destro Giuseppe Oliviero (detto Peppe Saccone) nell’ospedale Santa Maria dell’Olmo di Cava de’ Tirreni.  E qui si aprirebbe una vera e propria voragine di supposizioni relative al triangolo amichevole Conte-Lamberti-Calabrese-Alfieri (il primo ministro, il secondo magistrato, il terzo imprenditore e l’ultimo come capo della nuova camorra organizzata) dai molteplici interessi affaristici e malavitosi; questo portò al blitz (con l’aiuto anche di un elicottero) durante la primavera del ‘91 nella struttura sanitaria di Capezzano dove gli inquirenti pensavano di trovare la prova regina contro il sistema di potere politico-mafioso che all’epoca imperava e dettava legge.

Nella seconda metà del 92, mi disse Curci sul lungomare, era stato predisposto un elenco di nomi socialisti da colpire, per fare terra bruciata intorno a Conte. Lo incalzai cercando di capire se nella vita di Conte ci fosse un punto debole, mi sembrava strano che il suo principale e resistente oppositore non sapesse nulla: “Solo il suo rapporto con l’ambasciata della Germania Est”, rispose in maniera laconica e aggiunse: “L’articolo apparso su La Repubblica è riferito ad uno scandalo già pronto ad opera di ambienti investigativi di prima grandezza, che hanno insistito affinchè io stesso collaborassi. Tutto é sotto controllo a Salemo dal Prefetto all’ultimo consigliere comunale; anche il sistema informativo é coinvolto ed asservito. Stai lontano dal Giornale di Napoli perché non sarà risparmiato; bisogna solo saper aspettare. Fra qualche mese sarò io il leader indiscusso del PSI”. Non andò proprio così perché anche lui, e forse prima lui degli altri, venne alla fine tragicamente travolto da due sconvolgenti arresti per questioni davvero poco credibili e poco importanti rispetto al resto della tangentopoli, sebbene più di qualcuno assicurava che potesse contare di protezioni eccellenti nella Procura della Repubblica di Salerno. Il primo gli venne notificato mentre visitava i suoi pazienti in corsia, nell’ospedale di San Leonardo, dove era primario di neurologia. Ma prima degli arresti subì l’onta della bocciatura elettorale nella primavera del 94 a causa della lista “fai da te” che, in un certo senso, lo accomunava nella disgrazia a Conte e Del Mese.

Ma su quello scandalo già pronto ad opera di ambienti investigativi di prima grandezza aveva perfettamente ragione; la conferma arrivò in maniera esplosiva e devastante nel corso della giornata del 5 luglio 1993; da un paio di giorni il sindaco nominato Vincenzo De Luca si era dimesso dalla carica con un discorso durissimo, e quasi premonitore, contro i due personaggi politici dominanti (Conte e Del Mese) e contro tutti quelli che avevano amministrato la città nei decenni precedenti. Una mossa molto intelligente sul piano politico, difatti De Luca rinunciava ad una carica che avrebbe potuto tranquillamente detenere, ma capì che bisognava ritornare al popolo degli elettori e sottostare al logo giudizio; una mossa forte e coraggiosa che poi lo premiò con la vittoria del ballottaggio del 5 dicembre 1993. Ma cosa accadde in quella torrida ma gelida giornata del 5 luglio 1993; ecco cosa io stesso ho scritto nell’ambito del libro “A dieci anni da tangentopoli” (editore Loffredo) pubblicato nel 2004:

“”La caduta di Conte e Del Mese – 5 luglio 1993: la riunione, in Procura è rapidissima; davanti al capo Ermanno Addesso siedono i sostituti Luigi D‘Alessio, Vito Di Nicola e Antonio Scarpa. Manca l’aggiunto Luigi Apicella, che un solerte usciere subito chiama. Poi la firma di tutti e cinque in calce alla copiosa richiesta da inviare alla Commissione Parlamentare per i procedimenti di accusa; da quel momento parte la tempesta a carico dei due parlamentari salernitani Carmelo Conte e Paolo Del Mese. A rincarare la già pingue dose di accuse, ci sono anche le rivelazioni immancabili di Alberto Schiavo che intorno alla meta del mese di maggio 1993 si è sbottonato davanti al Procuratore Domenico Santacroce, in una stanzetta della Procura di Sala Consilina, alla presenza anche dei Sostituti salernitani Di Nicola, D’Alessio e Scarpa. In calce alla richiesta di autorizzazione il procedere contro Conte e Del Mese manca la firma di Michelangelo Russo; ma lo strappo in Procura, si sa, si è già consumato da una quindicina di giorni. –Sono vittima dei giornalisti e dei Servizi Segreti– tuona Carmelo Conte,  –Non sono ricco e giuro di scoprire chi ha tramato– rintuzza Paolo Del Mese, ma per tutti e due si apre il viale del tramonto anche se, a distanza di anni, riescono a dimostrare  la loro estraneità ai fatti contestati e, addirittura, Paolo Del Mese a ritornare parlamentare nella legislatura 2006/2008 con il presidente Romano Prodi. La politica attiva, quella di prima linea, rimane comunque e per sempre un pallido ricordo!  Del Mese chiede ai giudici di andare fino in fondo, per evitare che la certezza del diritto sia calpestata dalla calunnia dei pentiti; Conte grida ai quattro venti di avere le prove dell’infamia di Pasquale Galasso ( che da tempo si era schierato contro Alfieri che secondo gli inquirenti avrebbe fatto parte del famigerato accordo politico-mafioso) e del modo in cui lo stesso sarebbe stato gestito. In pratica Galasso con una sua dichiarazione fiume aveva accusato Conte di contiguità con il “clan Maiale” di Eboli e, dunque, con il grande capo Alfieri che un paio di anni prima venne ricercato nella clinica La Quiete. Poi ci si mise anche Giovanni Maiale che nel carcere di Opera a Milano rese, qualche settimana prima del 5 luglio 93, un lungo interrogatorio confermativo nelle mani di Leonida Primicerio che a distanza di poche ore riuscì a portare nel pieno svolgimento del “processo Maiale”, tribunale di Salerno, rivelando al pubblico le presunte macchinazioni politico-mafiose.

Poco convincente, contraddittoria e forse inopportuna, la dichiarazione di Giuseppe Amato, presidente degli industriali, a commento della notizia della richiesta di autorizzazione a procedere contro Conte e Del Mese: “non saranno più date deleghe in bianco ai politici che negoziano affari”. La storia, poi, ci dirà che lo stesso compianto cavaliere Amato tredici anni dopo, nel 2006, metterà in piedi una delle più grandi macchinazioni politico-istituzionale-imprenditoriale che diede praticamente il via al “crac Amato” con l’implicazione sicura di Paolo Del Mese e il salvataggio miracoloso di Vincenzo De Luca.

Subito dopo la notizia della richiesta di autorizzazione a procedere, anche la stampa si scatenò con devastanti e irragionevoli commenti: “Il Napoleone socialista e la rotta di Salerno”  scrive a pagina 9 “La Repubblica” del 15 luglio; “Da piccolo avvocato di Eboli a padrone della provincia“, “Enamorado de la vida””, “La meteora di Carmelo Conte, eroe degli anni ‘80“; questi i principali sottotitoli, quel giorno, su uno dei quotidiani più diffusi del Paese. A questo punto la tangentopoli, iniziata solo diciassette mesi prima, sembra conclusa; il gotha politico è stato decapitato, il sistema affaristico e di potere è stato messo a nudo e letteralmente smantellato, il teorema portato avanti dai giudici sembra essersi concretizzato, il lavoro svolto appare sereno e professionale; non resta, quindi, che dare l’avvio ai grandi processi; prima, pero, necessitano le due ultime stoccate per colpire i responsabili della mancata ricostruzione post-terremoto e gli imprenditori che da questo sistema hanno tratto enormi e facili vantaggi economici, riuscendo a destreggiarsi con grande abilità tra la concussione e la corruzione, per evitare il più a lungo possibile l`onta del carcere.

Dopo la giornata del 5 luglio 1993 l’epopea De Luca può partire; dei servizi segreti e della loro azione avremo tempo di parlarne nelle prossime puntate.

Ma chi era e chi è stato Francesco Curci, deceduto nel 1996. Lo ha ricordato venti anni dopo Gianni Iuliano con un ottimo approfondimento su Le Cronache del Salernitano in data 13 settembre 2016.

“”Francesco Curci aveva per metà sangue braciglianese: la madre apparteneva alla famiglia Angrisani, che dal piccolo paese dell’alta valle del Sarno avrebbe svolto ruoli rilevanti non solo in tutto l’Agro Sarnese Nocerino, ma in tutta le Provincia e anche a livello nazionale con il Senatore Luigi Angrisani, parlamentare socialdemocratico per molte legislature e più volte Sottosegretario di Stato. L’altro zio di Francesco Curci, Antonio Angrisani, indimenticato direttore amministrativo degli Ospedali Riuniti di Via Vernieri, era stato Sindaco di Bracigliano dal 1964 al 1970.
Erano quindi naturali i rapporti di Curci con la mia famiglia e con me che, giovane socialista, intraprendevo con animo ribelle i primi passi in politica. Nel 1983 fu Carmelo Conte a volere in lista Curci per le elezioni politiche. Sistema proporzionale con preferenze multiple e collegio interprovinciale, Salerno Avellino Benevento, e Francesco 1 mese prima del voto ebbe un distacco di retina, per cui saltò la fase finale della campagna elettorale che comunque ebbe un esito positivo per il PSI e per lui che fu eletto deputato. Le vicende interne del partito lo portarono alla rottura con il leader Conte e la svolta avvenne al Cinema Valle di Giffoni Vallepiana nel 1986, in una affollata sala, dove Curci tracciò una linea autonoma che fu seguita da molti di noi e lo portò alla rielezione nel 1987 e alla nomina a Sottosegretario ai Lavori Pubblici. Francesco Curci oltre che stimatissimo primario neurologo fu apprezzato in politica per la sua umanità e la sua semplicità. Anche nei momenti più aspri dello scontro politico interno ed esterno gli fu sempre riconosciuta da tutti una dirittura morale e una capacità di dialogo non comune. Nelle sue funzioni di Governo, ebbe riconoscimenti anche dalle opposizioni, e ricordo la sua soddisfazione quando riusciva ad ottenere l’unanimità su provvedimenti legislativi anche di una certa rilevanza. Rieletto nel 1992 affrontò insieme a noi tutti quel buio periodo della sospensione della vita democratica in Italia, inaugurata dalla cosiddetta stagione di Mani Pulite. Ricordo che si dannava al pensiero che un secolo di storia del partito socialista potesse concludersi per vicende di latrocini che riguardavano singoli individui e che colpivano soprattutto i partiti che avevano governato negli ultimi decenni.
E anche per lui cominciò il calvario di accuse infamanti e di procedimenti giudiziari, tutti col tempo finiti in bolla di sapone, ma che , come nel caso di Enzo Tortora, ne determinarono la malattia che lo portò alla morte il 13 settembre del 1996. Sono trascorsi 20 anni, e il ricordo di Francesco Curci rimane indelebile fra la gente umile, nel cuore delle migliaia di pazienti che ebbe in cura senza mai l’ombra della venalità, fra i politici che lo rispettarono per le sue idee e per la sua azione limpida e cristallina. Credo che sia giusto ricordarlo e rendergli omaggio per quello che ha fatto per tutti noi
””.

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