Anno Giudiziario: i clan e lo stato della giustizia

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – L’ho detto tante volte e lo ripeto ancora. Della cerimonia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del nostro distretto mi sembra che cambi soltanto la data sul drappo che, all’inizio dello scalone centrale del Tribunale, annuncia ogni anno l’ormai paludata e obsoleta rappresentazione (quasi teatrale !!) della giustizia. Una rappresentazione che si manifesta attraverso la lettura, fredda e lontana, di una relazione scritta anche per elencare le cifre e le statistiche dello stato della giustizia. Ho seguito per molti anni la cerimonia di inaugurazione, quest’anno ero assente perché non mi dice più niente e mi appare oltremodo spenta e lontanissima dalle esigenze della gente che pensa alla criminalità organizzata come un pericolo immanente su tutta la società civile; alla gente interessano pochi i numeri e le statistiche; alla gente preme sapere se, chi, come e perché Salerno è avvolta dal controllo asfissiante dei clan malavitosi e, soprattutto, che cosa fa lo Stato per combatterli e distruggerli con azioni repressive previste dalle leggi in vigore. Anche la partecipazione degli stessi magistrati del distretto alla cerimonia è apparsa, da diversi anni, quasi rituale, come un dovere cui dover sottostare senza nessun piacere di partecipazione. In verità un sobbalzo c’è stato alcuni anni fa in occasione della protesta generalizzata in un clima da “puzza di regime” (che in verità avvertivano solo i magistrati !!) contro l’allora presidente del consiglio dei ministri Silvio Berlusconi; quel giorno, lo ricordo benissimo, il salone Giacumbi si riempì di magistrati che con tono di sfida sfilavano con la costituzione (fotocopiata !!) sotto il braccio. Dopo quel momento specifico nulla più, calma piatta in senso assoluto e la ripetizione delle stesse cose, sempre. Quest’anno, però, c’è stata una novità che in un certo senso fa ritornare tutti al passato per una espressione contenuta nella relazione della DDA/Salerno e fatta propria dalla Procura Generale presso la Corte di Appello che è titolata per la redazione del resoconto annuale. Una frase che è divenuta subito un titolo su quasi tutti i giornali e le televisioni locali: “A Salerno comandano i D’Agostino”.  E c’era bisogno di una relazione della DDA e di un riconoscimento della stessa da parte della Procura Generale per scoprire che a Salerno comandano i D’Agostino; sembra che, adesso, tutti hanno scoperto l’acqua calda. E proprio per questo un dubbio fondato mi viene su chi realmente comanda a Salerno. Perché se comandano i D’Agostino, e questa circostanza viene sacralizzata in due documenti giudiziari c’è da chiedersi perché non vengono arrestati tutti con relativo smarrimento della chiave. Ovviamente per arrestare qualcuno c’è bisogno di un reato e visto che non vengono arrestati è segno che il reato non c’è. E se non c’è il reato come si fa a scrivere che “A Salerno comandano i D’Agostino” senza dare le doverose conseguenze a tali pesantissima affermazioni. Ma i D’Agostino -mi sono chiesto- non sono quelli che si vedono per il centro storico e dinanzi al Comune e che un tempo gravitano in Via Capone ? E’ vero che un esponente del clan è oggi in galera per l’omicidio Nese, ma questo conta poco perchè il problema vero è e rimane il governo della città. Oltretutto verrebbe anche da chiedersi come sia possibile che gli esponenti di un clan malavitoso così potente possano aggirarsi liberamente nelle vie del centro. Sinceramente mi sembra di essere ritornato indietro nel passato, esattamente alla lontana inaugurazione dell’anno giudiziario del 1998 quando il procuratore generale dell’epoca scrisse nella sua relazione che “A Salerno comanda Panella”; anche in quel caso Amedeo Panella era liberissimo, tanto è vero che venne in tv da me per rilasciare un’intervista clamorosa (unica nel suo genere !!) con specifiche accuse contro gli inquirenti che, a suo dire, lo perseguitavano mediaticamente. Ma lo stesso Panella era legatissimo al “clan D’Agostino” e, forse, addirittura ne era il vero capo ed è evidente a tutti che proprio sotto il comando di Panella il clan D’Agostino è cresciuto e prosperato. E’ vero che Panella qualche mese dopo fu arrestato e che da allora è tuttora detenuto nelle patrie galere, ma molti dubbi vengono e sono anche legittimi; dubbi che porterebbero a ritenere che l’accoppiata Panella-D’Agostino da almeno tre decenni è al comando di tutta la criminalità salernitana. E ancora, il potere dei D’Agostino viene fuori subito dopo la caduta di Panella e la guerra senza esclusione di colpi tra il “clan Panella-D’Agostino” e quello di “Lucio Grimaldi, detto il Vampiro” ucciso sul lungomare molti anni dopo l’arresto sia di Amedeo Panella che di Giuseppe D’Agostino. Insomma, quasi come dire che negli ultimi trent’anni a Salerno non è cambiato niente e ora, come allora, nessuno degli amministratori e/o dei politici conosce i D’Agostino come allora non conoscevano Panella. Eppure sembra che qualche cosina i “clan malavitosi” in questa Città l’hanno commessa; come si fa a dimenticare la bomba fatta esplodere contro l’allora assessora Rosa Egidio Masullo che fortunatamente non produsse danni a persone; come si fa a dimenticare il lungo ed estenuante processo penale che l’assessore Nino Savastano ha dovuto suo malgrado subire proprio per colpa di detti clan; come si fa a dimenticare le numerose sparatorie in Via Capone oppure l’eliminazione fisica degli avversari nell’ambito di una guerra tra bande. Ricordo la spettacolare, nonché esecrabile e nefanda, battaglia a colpi di rivoltella nel Largo Santa Lucia ovvero in una nota discoteca cittadina che alla fine, dopo tanti anni di polemiche, è stata chiusa; speriamo per sempre. Non a caso, sempre per esempio, qualche anno fa, in occasione di una tornata elettorale amministrativa, venne fuori e deflagrò il sospetto di un rapporto tra il Comune di Salerno e il “clan D’Agostino”, ma anche in quel caso si alzò un muro di gomma da parte dei politici: nessuno conosceva i D’Agostino. E quell’episodio, sul quale non è stato mai indagato abbastanza, è stato strumentalizzato e distorto a seconda le necessità dell’accusa o della difesa. E’ tutto da rifare, avrebbe detto Gino Bartali; e mai affermazione appare più idonea a spiegare lo stato della giustizia e il proliferare dei clan malavitosi.

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