CAVA: Frà Gigino con la cenere sul capo nel castello canossiano di Servalli

 

Aldo Bianchini

 

CAVA de’ TIRRENI – Vincenzo Servalli, Enzo per gli amici, sindaco di Cava de’ Tirreni, è stato capace di ribaltare la storia ed ha costretto il “potere temporale” a piegarsi al “potere politico”. Prima di lui non c’era riuscito nessuno, lui si. E lo ha fatto senza enfatizzazioni strombazzanti ma lavorando di fioretto ai fianchi della Chiesa. Ed il potere temporale con la cenere sul capo si è prostrato ai piedi del primo sindaco capace di ammorbidire le posizioni sopra le righe del fraticello di Cava de’ Tirreni, il famoso “Frà Gigino”. Insomma la cosiddetta “umiliazione di Canossa” è andata in scena al contrario; l’altro giorno a Cava è stato il Papa Gregorio VII a recarsi nel castello Matildico per consegnare il suo potere nella mani dell’imperatore Enrico IV. Correva l’anno 1077, quasi mille anni fa, e quei tre giorni passati in ginocchio dall’imperatore dinanzi al castello sotto una bufera di neve, per essere ricevuto dal Papa, sono rimasti indelebilmente impressi nella storia. Lo avete sicuramente capito, l’imperatore è Servalli e il papa è Frà Gigino. Nei corridoi del palazzo di città di Cava si sussurra che sono stati necessari più di tre giorni, forse, per far si che il fraticello ribelle, spesso indisponente ed a tratti arrogante, potesse essere ricevuto in gran segreto dal sindaco Servalli nella sua stanza. Pare siano stati calcolati anche gli orari giusti e i passaggi opportuni al fine di evitare che Frà Gigino potesse essere visto da chicchessia. La visita è stata riservatissima e lo staff del sindaco ha saputo prima organizzarla e poi tenerla lontana da taccuini e telecamere. Un bravo il sindaco Enzo Servalli lo merita davvero, soprattutto perché è riuscito a cucire addosso al frate il più classico dei vestiti d’occasione curando con molta attenzione il passaggio di Frà Gigino con obbedienza dinanzi al Padre Provinciale della Curia dei Frati Minori in Baronissi dove, sempre secondo indiscrezioni, avrebbe recitato un accorato “atto di dolore” promettendo obbedienza alla Chiesa e rispetto per le istituzioni civili che tante volte ha calpestato molto maldestramente. La storia  era iniziata già verso la fine del sindacato di Raffaele Fiorillo ed era esplosa durante quello di Alfredo Messina; aveva assunto toni grotteschi negli anni di permanenza al Comune di Luigi Gravagnuolo (ricordate il suono della campane e il processo tuttora in corso !!) e tutto lasciava pensare che la musica non sarebbe cambiata con Enzo Servalli. Invece non è stato così grazie al fatto che l’attuale sindaco ha capito per tempo che doveva lavorare di fioretto (come dicevo) senza strombazzamenti e senza la necessità di andare allo scontro frontale; ed alla fine il frate ribelle si è piegato recandosi, prono, nel castello metelliano dove ad attenderlo (non si sa se a braccia aperte, questo le indiscrezioni non l’hanno chiarito !!) c’era il sindaco saldamente assiso sul suo trono. Non c’è che dire, la sua strategia è stata vincente; è riuscito dove tutti gli altri suoi predecessori avevano fallito. Finanche Marco Galdi ha fallito pur essendosi quasi piegato ai voleri del frate andando a Canossa più volte con la speranza di ricevere la messe di voti che più di qualcuno attribuiva a Frà Gigino; non aveva capito, il pur bravo Galdi, che finanche nel centro storico c’era e c’è tanta gente stufa degli atteggiamenti superficialmente arroganti del fraticello; i voti non sono arrivati e Galdi è andato a casa. La pace, adesso, sembra essere ritornata anche se la storia ci insegna che … “”L’umiliazione di Canossa ebbe un forte effetto morale, ma i risultati pratici furono presto di altro tipo. Rientrato in Germania, Enrico si accorse che qui non aveva più seguito. Il 15 marzo a Forchheim i principi tedeschi lo avevano deposto eleggendo in sua vece il cognato Rodolfo di Svevia, che fu incoronato a Magonza dall’arcivescovo Sigfrido. Enrico sconfisse due volte il rivale in battaglia e Gregorio VII il 7 marzo 1080 lo scomunicò nuovamente con l’accusa di non aver rispettato i patti di Canossa e di aver impedito lo svolgimento dell’assemblea ad Augusta””. Dopo la cronaca di un fatto bisogna, però, trovare anche la giusta dimensione che è doverosa nei confronti del “personaggio Frà Gigino”; il fraticello metelliano porta con se in dote naturale un innato carisma che trascina migliaia e migliaia di fedeli, una fiumana di gente per le aree aperte del Santuario di San Francesco e Sant’Antonio, la chiesa sempre gremita, tutta la struttura praticamente invasa dai visitatori; un bar simile ad una struttura superbamente moderna, la copertura dell’enorme cortile interno, le aiuole, il palco, la cripta, la splendida chiesa, la mensa con annesso salone per le feste, il presepe permanente, finanche i bagni super organizzati anche dal punto di vista dell’igiene; questo è riuscito a creare, da solo, Frà Gigino, restituendo alla città metelliana una struttura che anche dal punto di vista economico deve essere attentamente studiata e valutata. Per tutto questo è giusto che rimanga nel “suo santuario” a patto che abbandoni per sempre i panni del ribelle e dell’insofferente verso le istituzioni locali che, nonostante i tanti difetti, vanno certamente rispettate. Come Gregorio VII impartì la benedizione ad Enrixo IV così Servalli ha data una lezione di serenità a Frà Gigino; ora bisogna solo sperare che la lezione abbia il successo che merita e, soprattutto, che il fraticello cominci seriamente a limitare le estenuanti e continue processioni che bloccano la città, a contenere il fragore del suono delle campane, a frenare le sue aspirazioni di acquisire il parcheggio dinanzi al santuario, a rispettare il ruolo degli altri ed a condividere le esigenze di una città che anche con il suo impegno potrebbe ritornare ad essere la “piccola Svizzera”. Per buona pace di tutti.

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