CONSIP: quando la giustizia è giusta ?

Aldo Bianchini

SALERNO – La domanda è “Quando la giustizia è giusta ?”; la risposta dovrebbe essere facile: “quando riesce ad essere uguale per tutti”, ricchi, potenti, delinquenti, gente comune. Non a caso proprio questa è la risposta scritta sulle tavole di ogni emiciclo delle aule di tribunale che assicurano, almeno a parole, l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Secondo la corrente di pensiero portata avanti dal grande scrittore George Bernard Shaw nei primi cinquant’anni del secolo scorso “La giustizia è sempre giusta, anche se è fatta sempre in ritardo e, alla fine, è fatta solo per sbaglio”. Se ne deduce che dovremo abituarci sempre di più ad una giustizia ingiusta e sperare in uno sbaglio di chi indaga per avere, casualmente, una giustizia giusta. La massima di Shaw si attaglia perfettamente al caso che stiamo trattando, quello dell’inchiesta Consip con la rivelazione che una frase attribuita ad Alfredo Romeo era stata invece pronunciata dall’ex deputato Italo Bocchino; al centro di questa frase il papà Tiziano di Matteo Renzi, indagato per “traffico di influenze” un reato inventato dalla fervida mente del governo Monti che, attraverso la ministra Paola Severino, tentò riuscendoci di far fuori Silvio Berlusconi dal Senato della Repubblica. Nella fattispecie lo sbaglio degli investigatori potrebbe risiedere nella manipolazione, “voluta e/o casuale”, di alcune trascrizioni delle intercettazioni, fino al punto di coinvolgere direttamente o indirettamente l’uomo politico più forte del momento: Matteo Renzi. Ed è proprio la posizione di forza di Renzi che favorisce l’insorgere di pesanti dubbi sulla legittimità e sulla casualità dello sbaglio che è stato frettolosamente rubricato come “grave errore senza alcun complotto” sia dal pm Henry John Woodckoc che dalla procura della Repubblica di Napoli in modo da allontanare qualsiasi sospetto sia sugli uomini che sul palese contrasto con la Procura di Roma (in merito il CSM ha aperto un fascicolo). C’è già qualcuno che parla di “Roma come porto delle nebbie” ovvero di “sudditanza al potere forte della Procura di Roma”. Difficile scegliere la risposta giusta; certo è che stando ai precedenti non è difficile pensare alla Procura romana come porto delle nebbie, se non fosse per il procuratore capo Giuseppe Pignatone che ha dimostrato di saper rivoltare la capitale come un calzino ma che ha anche avallato la corrente di pensiero “poteva non sapere” quando si è trattato di decidere sull’indagine che aveva colpito il governatore della Campania Vincenzo De Luca per il presunto aggiustamento del processo per la sua decadenza da sindaco (anche in questo per effetto della legge Severino). Ma la storia degli uomini si costruisce sulla statistica che, nel caso di Pignatone, recita assolutamente e completamente in suo favore. Ma allora il marcio è nella Procura di Napoli ? Quella partenopea non è nuova, non dico ad errori clamorosi, ma sicuramente ad inchieste di un certo spessore politico-imprenditoriale (i processi contro Berlusconi e contro il Re d’Italia fanno storia !!); non per questo si può parlare di complotto anche se i dubbi ci assalgono pesantemente. E allora è solo colpa del capitano ? (difeso dall’avvocato salernitano Giovanni Annunziata), difficile rispondere, anche in questo caso dobbiamo far riferimento alle statistiche che indicano il capitano Scafarto come uno degli uomini di punta della procura napoletana, un uomo che ha condotto indagini delicatissime nel contesto di inchieste davvero clamorose (“”Dal metano alla Consip, dal sindaco di Ischia a Romeo, da Massimo D’Alema (mai indagato, ma finito nel tritacarne per la storia dei libri e del vino acquistati dal sindaco ischitano) all’inchiesta-terremoto che punta dritto al giglio magico e che miete «vittime» eccellenti (tra gli indagati i generali Del Sette e Saltalamacchia, il ministro Lotti e Tiziano Renzi)””) senza sbagliare un colpo. Dunque bisogna convincersi che si è trattato di un tragico “grave errore senza alcun complotto”; bisogna crederci altrimenti non se ne esce più da questo guazzabuglio che è la “giustizia terrena amministrata dagli uomini”. Dalla fattispecie viene anche un’altra lezione; non è sufficiente essere ricchi (leggasi Berlusconi !!) per ottenere una giustizia giusta, bisogna essere innanzitutto un uomo di potere, quello vero (leggasi Renzi) e sperare, comunque, in uno sbaglio clamoroso e contare sulla fedeltà di chi quello sbaglio deve fartelo presente; in caso contrario avremo sempre una giustizia lenta e ingiusta. Non ne parliamo, poi, quando ci si mettono di traverso anche le beghe interne degli investigatori, come nel caso Consip, in cui due carabinieri con relazioni di servizio alla mano avrebbero dimostrato di aver informato dei diversi errori il loro capitano prima che quest’ultimo redigesse la famosa informativa per la Procura. Un fatto è assolutamente certo, alla fine non si capisce più niente. Infine, perché un avvocato penalista salernitano entra a piè pari in un’inchiesta enorme come quella sulla Consip ? Alla prossima puntata.

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