Povera Roma, povera Italia, povero mondo!

di Felice Bianchini junior

(Corrispondente e notista politico)

 

ROMA – “Che freddo…” pensavo, mentre uscivo da un ristorante vicino Piazza Cavour, infilato il cappotto, ormai rigorosamente lungo, con aggiunta di sciarpa al collo e guanti, per difendere le mie mani, già screpolate. Un pensiero al letto caldo, mentre mi giravo verso la piazza, dominata dall’imponente corte suprema di cassazione, che rappresenta la nostra giustizia. Uno sguardo al telefono, anche solo per vedere l’orario, nonostante l’orologio al polso – che possiamo farci? Ormai è un riflesso incondizionato allungare la mano verso la tasca, in cerca della tecnologia amica.

 

Da un lato la giustizia, sotto forma di edificio imponente, in mano la tecnologia, in rappresentanza del grande progresso, mentre davanti a una saracinesca dormiva un clochard, rannicchiato su un letto improvvisato di cartone. “Ma come? Ho in mano il progresso, sullo sfondo la giustizia, come è possibile che ci sia un essere umano che dorme in mezzo alla strada?”: non abbiamo bisogno di indicatori economici per comprendere che ci siano problemi, basta farsi un giro per strada, qualunque essa sia, visto che ormai neanche il centro accieca dallo splendore. Non mi interessa fare come fanno i soliti beceri, che assalgono l’amministrazione di turno. I problemi che ho visto e che vedo hanno radici molto più profonde, che sono culturali, prima ancora che politiche.

 

Ma la premessa fatta rischia di essere fraintesa, etichettata come la solita solfa sulla povertà, sul degrado, la fame nel mondo e tutto ciò che in un bar può venire espresso dal “buono dalla coscienza sensibile”, rischiando di perdersi nella confusione del dibattito medio. Si dirà giustamente: “facile indignarsi con l’Iphone in mano, dopo aver cenato al ristorante!”. E come dare torto a chi potrebbe pensare questo? Non puoi denunciare che nel mondo vi siano disuguaglianze sociali, in aumento vertiginoso da un paio di decenni almeno, gonfiate dalla mietitura della crisi, se sei un “borghese”. Eppure la mia “retorica” ha contagiato i grandi esperti e attori protagonisti del mondo al World Economic Forum – si sa, noi comuni mortali, sia chi è borghese, sia chi è povero, siamo solo comparse.

 

“Cosa ne sai? Sei giovane, non sai neanche che vuol dire lavorare, ti danno tutto mamma e papà”, mi andrebbe riconosciuto, quantomeno, di essere in una posizione scomoda, per via degli svariati fuochi che dal punto in cui mi trovo sono stato e sono costretto a fronteggiare, per giunta passivamente, poiché sempre nel mezzo e disarmato, in un limbo che in quanto tale non mi è consentito neanche di chiamare inferno. Che le mie origini siano umili poco importa, perché essendo origini non mi appartengono del tutto, sicuramente non appartengono al mio presente.

 

Purtroppo però, amici miei, mi dispiace informarvi che stavolta a parlare di disuguaglianze sono stati gli stessi che le hanno quantomeno indirettamente causate – e non io, umile “coscienza infelice”! Ma farsi recapitare dei report di qualche Ong e chiacchierarne non è di certo un grande passo avanti verso la risoluzione del problema. Infatti, la soddisfazione che provo è meramente personale, egoistica, una di quelle che ogni tanto ognuno di noi sente il bisogno di alimentare, specie quando puoi dire “ve l’avevo detto”. Ma farsi prendere da questo genere di reazioni vorrebbe dire non aver capito la gravità o, se preferite, la sostanza del problema. Ed è infatti a questo che serviva la premessa “narrativa”: a sottolineare la forte contraddizione in cui viviamo, nonché a dire che in fin dei conti non ci voleva un genio, una laurea, la riunione di capi di stato e figure di spicco dell’economia per capirlo. E quindi, anche questa volta, non ho meriti… pazienza!

 

Ma fin qui sembreranno solo altre chiacchiere a chi in questo periodo ha in testa solo le parole retorica, demagogia, populismo e tutto il vocabolario confinato in questo campo semantico. Vengono richiesti i fatti, quindi faremo parlare dei numeri, dei dati, che hanno il brutto vizio di essere schietti. Va detto, prima di dar voce ai numeri, che le disuguaglianze sociali sono un fenomeno che può essere individuato sia a livello globale, sia a livello locale. Il primo dato che salta agli occhi viene fuori dal rapporto Oxfam, il documento pervenuto al WEF di Davos, che fa notare come tra marzo 2017 e marzo 2018 la ricchezza dei quasi 2000 miliardari del pianeta è cresciuta di 900 miliardi, mentre per la metà più povera del globo è calata dell’11%. Fa poi riflettere un altro trend:

 

  • Nel 2018, 26 individui possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale;
  • Nel 2017 questa stessa ricchezza era concentrata nelle mani di 46 persone;
  • Nel 2016 nelle mani di 61 persone.

 

Se a livello mondiale la situazione è a tal punto sbilanciata, non potremmo dire il contrario di quella del nostro paese: in Italia, a metà 2018 il 20% più ricco tra gli italiani possedeva circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Il successivo 20%, il 15,6% della ricchezza, lasciando al 60% più povero appena il 12,4% della ricchezza nazionale. Il 5% più ricco era titolare da solo della stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero.

 

Ma ciò che più indigna di questa situazione è il trattamento fiscale che ricevono questi signori: usufruendo dei paradisi fiscali, grazie anche e soprattutto al movimento libero del capitale all’interno dei mercati finanziari globalizzati, senza contare i già consistenti tagli, ad esempio negli Stati Uniti, delle imposte sul reddito delle persone fisiche, il prelievo patrimoniale che si ritrovano a dover corrispondere risulta irrisorio. Il direttore esecutivo di Oxfam International a tal proposito dice che “il crescente divario tra ricchi e poveri ostacola la lotta contro la povertà, danneggia l’economia e alimenta la rabbia globale. I governi devono assicurare che le multinazionali e i ricchi paghino la loro quota di tasse”.

 

Ma ritorniamo a Roma: quel clochard che ho visto davanti alla saracinesca non è l’unico costretto a quella vita. Non posso neanche essere convinto che sia ancora tra noi, visto il freddo pungente di Gennaio, che ha già fatto redigere un bilancio di dieci vite perse in mezzo alle strade della Capitale.

In Italia i poveri assoluti hanno raggiunto circa quota 5 milioni, senza dare segni di calo negli ultimi 4 anni: lo ricorda la Caritas che ha pubblicato di recente un rapporto che ben si sposa con quello Oxfam, incentrato sulla povertà e i disagi in generale che affliggono la città eterna. Oltre al dato ormai famoso dei poveri italiani, ciò che colpisce è la considerazione che viene fatta su chi viene maggiormente penalizzato da questa situazione: “sono i giovani e, ancor più, i giovani che coraggiosamente si fanno una famiglia a pagare il prezzo più alto delle contraddizioni sociali, tra l’apparente esaltazione pubblica della famiglia e la sostanziale indifferenza rispetto alla dimensione generativa delle giovani coppie”. Non solo, al calo delle nascite segue il quasi necessario invecchiamento della popolazione: tra il 2006 e il 2016 gli over65 sono aumentati del 7,3%, i quali non sono di certo esentati dalla miseria, tutt’altro, infatti il 30% degli anziani di Roma è a rischio povertà, con un effetto domino che si ripercuote anche sulle generazioni più giovani, visto che la pensione dei nonni è spesso fonte di sostegno per le famiglie. Purtroppo, i dati ci dicono che ad oggi una buona percentuale di nonni fanno fatica addirittura a soddisfare i loro bisogni di prima necessità e spesso vivono in solitudine, abbandonati a loro stessi.

 

Un altro problema che andrebbe affrontato, strettamente legato alla povertà, è l’accesso alla casa. I senza dimora sono stimati tra le 14000 e le 16000 persone; di questi, il 34% è in strada da più di 4 anni, e non si tratta di soli stranieri, visto che il 45% circa è composto da italiani. La possibilità di accesso alla casa è scarsa soprattutto per via dei prezzi alti, mai sostanzialmente calati dalla crisi del 2008, senza considerare che il rapporto ci dice che “per quanto riguarda gli alloggi in affitto sociale, a livello europeo si rileva una media del 13,7% degli alloggi costruiti, Roma raggiunge solo il 4,3%”. Un patrimonio di 130.000 case sfitte fa da cornice a un’insostenibile voragine sociale, che vede al suo interno non solo gente con carenza di istruzione e/o inattiva, ma anche una nuova specie di poveri, i working poors, lavoratori che nonostante l’impiego si ritrovano in condizioni di povertà.

 

A questo triste quadro si aggiunge un sistema scolastico che in alcuni punti è inaccessibile, mentre in altri risulta inefficiente, venendo abbandonato, aggirato o repulso da sempre più giovani. Aumentano poi i disturbi mentali, l’uso di psicofarmaci, alcool e stupefacenti, oltre che l’incidenza della ludopatia, che spesso e volentieri rappresenta una finta via maestra per un tessuto sociale che viene bombardato da gente che “ce l’ha fatta” ed è in larga parte ossessionato dal successo. Si cerca la fortuna, ovunque essa sia.

 

Visto che sono ancora in cerca di soluzioni pratiche, credo che vadano almeno centrati alcuni punti alla base dei problemi della società attuale: mentre escono studi scientifici che riconfermano l’unicità dell’individuo, la totale assenza di identità e l’omologazione di massa rendono ancora più soli. Il ridente “neo-liberalismo”, che si finge amico dell’individuo, si rivela essere solo una nuova riproposizione del liberismo sfrenato, che va avanti ormai da anni: inutile quindi stupirsi, per giunta dopo una crisi della portata di quella del 2008, che in Europa ha avuto una risonanza e una durata senza eguali, se da chi è disilluso e chi si trova in difficoltà arrivino istanze di maggior assistenza e presenza dello Stato. Tutto ciò che sta accadendo può non piacere, ma è solo una diretta conseguenza delle scelte che sono state fatte negli ultimi vent’anni.

Si teme che queste “nuove” (nuove si fa per dire) spinte politiche possano mettere a rischio i principi del merito e del sacrificio: è tutto qui il problema che viene messo sul piatto. Le cose ce le si guadagna, è vero, la vittoria non può essere scontata o regalata, siamo d’accordo. Userò parole non di mia proprietà per ricordare come funziona il nostro sistema economico: “Gli economisti hanno cominciato col presupporre uno stato di cose in cui la distribuzione ideale delle risorse produttive si può ottenere mercé individui che agiscono indipendentemente secondo un metodo sperimentale, in modo tale che quelli che si muovono nella direzione giusta distruggano per mezzo della concorrenza quelli che si muovono nella direzione sbagliata. Ciò presuppone che non vi sia grazia né protezione per coloro che instradano il proprio capitale o il proprio lavoro nella direzione sbagliata. È un metodo che porta in alto i ricercatori di guadagno cui arride il successo, grazie ad una spietata lotta per la sopravvivenza, che seleziona il più efficiente per mezzo del fallimento del meno efficiente. Esso non guarda al costo della lotta, ma solo ai vantaggi del risultato finale, che si suppone siano permanenti. Se lo scopo della vita è di cogliere le foglie dagli alberi fino alla massima altezza possibile, il modo migliore di raggiungere questo scopo è di lasciare che le giraffe dal collo più lungo facciano morir di fame quelle dal collo più corto”.

 

In giro da sempre c’è povertà e paura di essa, da sempre c’è sdegno da parte di chi riesce, nei confronti di chi non riesce, nonché avidità e invidia di chi non ha, nei confronti di chi possiede di più. Da un lato il povero vede il ricco come il cattivo, ladro ed egoista, mentre dall’altro lato il ricco vede il povero come lo scansafatiche, incapace che non sa guadagnarsi le cose da solo. Mi urtano entrambe le posizioni. Sarò giovane, ma se essere adulto significa essere così miope e infantile, beh, allora preferisco rimanere nel mio limbo.

 

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