ABBANDONO DEI PICCOLI PAESI FRA PROPAGANDA E IPOCRISIA

di Eppe Argentino Mileto

(autore televisivo)

ROMA – Ci ho pensato a lungo. Le parole da misurare per non apparire irriverente, i verbi da coniugare per non sembrare tagliente, gli aggettivi da utilizzare per non risultare offensivo. Poi, come sempre mi accade, la verità e l’indignazione hanno prevalso sul buon senso. Sono sempre stato un uomo di senso, come tale assolutamente privo di buon senso. E mi son detto: “che vadano al diavolo tutte, le ipocrisie. Scrivo di getto e basta, come va andrà!”

Da anni ormai, una certa Italia, giustamente, si batte contro quello che viene dagli statisti indicato come un “fenomeno inevitabile”: lo spopolamento dei piccoli paesi a rischio desertificazione, fra emergenze lavorative e climatiche.

Caspita! Poi mi son detto: “Occorre che ciascuno faccia la sua parte. Tocca anche a me fare la mia”. E l’ho fatto, con il mio lavoro. Da autore televisivo ho portato le telecamere in quei piccoli centri di un’Italia che rischia tutt’ora di sparire. Ho acceso l’attenzione su quei pochissimi eroi silenziosi che hanno scelto di continuare a viverci, in quei paesi. O di tornarci, dopo aver tentato la fortuna altrove. Sì, li ho definiti proprio così: un piccolo esercito di eroi silenziosi. Giovani e meno giovani che hanno avuto il coraggio di portare avanti le proprie idee, in ogni campo, soprattutto imprenditoriale. Chi ha tentato di avviare un’enoteca, chi un bar, chi una piccola azienda agroalimentare, chi un semplice negozio, chi ha messo a reddito piccoli appezzamenti di terreno, chi poi ha voluto dipingere, chi scrivere, chi recitare, chi ancora ha voluto urlare al mondo che, grazie alla rete, al web, ai social, si poteva essere presenti, grandi o piccoli, nel mondo con la forza delle proprie idee, anche dai piccoli centri. Sì, proprio da quell’Italia dimenticata ma ricca, ricchissima e generosa di campanili, palazzi, piazze, fontane, pievi, chiese, monasteri, abbazie, grotte, boschi e parchi naturali, mare e cieli tinti d’azzurro e monti acuminati che scalano le stelle, borghi e contrade che raccontano storie di uomini di sapienti e millenari gesti, rispettosi della natura che mangiano e sfamano famiglie grazie alla natura. Questo mi piaceva. E questo mi piace. Ma c’è un ma: la gestione della cosa pubblica, con la quale tutti dobbiamo fare i conti, per forza di cose. Che la politica fosse un’arte, l’ho sempre sostenuto. Penso ai La Pira, ai Moro, ai Togliatti, ai De Gasperi. Che la sua gestione fosse diventata una merda, altrettanto. Sì, caro Direttore. Una merda. Ed è inutile sforzarsi di essere eleganti con sinonimi quali “escrementi” o cose del genere. Un termine, quando ben riferito, non offende mai: illumina. E indigna. E se indigna fa riflettere. E se fa riflettere aiuta. E se aiuta fa agire. Di conseguenza senza temerne le conseguenze, del suo uso. Perché è appropriato. Vede, il talento non ha latitudini. L’Italia, e non solo, ne è piena. Ciascuno è il depositario del proprio talento. Ma sforzatevi tutti di guardare alle cose come realmente sono. I miei eroi silenziosi, a suon di sacrifici, poiché l’Italia non è affatto una Repubblica fondata sul merito, anzi, tutt’altro, sono spesso costretti a portare le proprie idee alle banche. Che in Italia, se non conosci il dirigentino di turno, è come farsi una crassa risata. E se non sei coperto da garanzie non sei bancabile. Tradotto: se sei un orfano o un indigente, potrai anche essere Mozart, ma non se ne fa nulla. Niente accesso al credito, quindi niente fondi. Fottiti. Poi, i miei eroi silenziosi si scoprono talmente eroi da riuscire a farcela. Ad avviare la propria idea sotto forma di attività. Hanno studiato, e sanno, o sentono dire, che esistono fondi regionali, europei ecc…Già, ma come accedervi? Non è facile muoversi fra le maglie della burocrazia. Soprattutto per chi non la conosce o non vuol neppure conoscerla. E allora si rivolgono al politicuccio di turno, che li riceve. A parole tutti si mostrano interessati. Pacche sulle spalle e amplissimi sorrisi. Questo elargiscono al primo incontro. Poi ti dicono: manda una email. Che è un modo per scaricarti senza insultarti. Gli eroi scrivono e mandano la email richiesta. Che nessuno leggerà. All’inizio pensano: “Non l’avrà letta:” Oppure:” Sarà erroneamente finita nello spam”. E la rinoltrano. Niente. Non succede niente. Senza scoraggiarsi telefonano al politicuccio. Che fa spallucce, alla prima telefonata: ”Sai, i fondi per quest’anno sono già stati assegnati, occorre il prossimo bando, fra tre anni. Ma non è certo che lo rifacciano…” e balle di questo tipo. Dopo uno, due o tre anni, gli eroi silenziosi si fanno coraggio e richiamano. Ma i telefoni cominciano a tacere. Squilla sempre libero. Ma senza risposta. Quando rispondono, lo fanno con quegli sms che inviano in automatico “Scusa non posso parlare” – oppure “sono in riunione” – o ancora “posso richiamarti più tardi?” Puntualmente non richiama mai nessuno, ovviamente. E tutto questo per non dire una semplice verità: “Senti, qui abbiamo già assegnato tutto e non c’è spazio per te e le tue idee”. Perché è questa la verità. La triste realtà di quell’Italia che, a questo punto, se le cose continuano così, merita di sparire. Poi ci sono i sindachini di turno, eletti così: prima erano giovani di belle speranze che postavano una protesta. Poi la cavalcavano a suon di ridicoli pollicini sollevati sul web “Mi piace”; poi pubblicando mirabolanti idee che annunciavano il cambiamento. Se c’è una parola abusata e stuprata in Italia è proprio questa: cambiamento. In un’Italia che avvertiva e urlava a suon di girotondi il cambiamento ventilato dalla botanica, margherite ed ulivi, dalla zoologia, asinelli ed elefantini, a suon di slogan e claim propagandistici, il cambiamento non si è mai visto. Non contenti, gli abitanti di quei paesini, hanno seguitato a credere, e votare, i giovani “provenienti dalla società civile”, che sono stati eletti e salutati con salve di acclamazione. Di quale civiltà facessero parte nessuno lo ha mai compreso. Tantomeno i programmi elettorali seducenti, che avevano l’aspetto del delirio più che dell’ambizione o della visione dei propri paesi, e che si sgonfiavano il giorno stesso dello spoglio delle schede elettorali. E il cambiamento si è travestito da istituzione, indossando la fascia tricolore. Mesi dopo li ho visitati, molti di quei paesi che annunciavano dai manifesti elettorali il cambiamento. Da nord a Sud. Le fontane, i campanili, le pievi, le piazze, le fontane, le chiese, le contrade, i contadini erano ancora tutti lì. E i loro figli partiti. Non era accaduto nulla. Tutto era rimasto come prima. Come prima che eleggessero i sindachini. Nessun programma era stato realizzato. Certo, ogni cambiamento richiede pazienza. È un meccanismo complesso fra le generazioni. Ci vuole pazienza. E tanto, tanto duro lavoro da parte di chi amministra la cosa pubblica. Non è affatto semplice. Anzi. Ma non vi era nessuna traccia, del tanto annunciato e strombazzato cambiamento. Di quei comizi non erano rimaste che le parole al vento. E qualche antico “mi piace” col pollicino alzato nelle memorie dei post. Le case vuote, gli immobili comunali bui e spenti. Non era accaduto assolutamente nulla di quanto era stato promesso. Molti dei miei eroi silenziosi sono ancora lì. Più eroi e più silenziosi di allora. I più fortunati, hanno potuto andarsene un’altra volta. Senza fare anticamere da chi neppure li ascolta.  La cultura non abita più lì.

 

Dedico queste riflessioni al sindaco di un paesino piccolo piccolo, Auletta, in Provincia di Salerno. Si chiama Pietro Pessolano e al suo giovane Vice Sindaco, Antonio Addesso. Ho toccato con mano che ci credono per davvero, nel loro paese. Che Iddio li accompagni e li illumini in questa difficile e affascinante avventura, che è la vita.

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