Elezioni politiche del 25 settembre 2022: i penalisti Italiani chiedono ai leader dei partiti che le riforme della giustizia siano centrali nei programmi.

 

 

da Pietro Cusati

Dr. Pietro Cusati (giurista - giornalista)

Una Giustizia penale giusta, efficiente ed autenticamente coerente con quei principi generali scolpiti in Costituzione, ma ancora lontani dall’essere realizzati. L’approvazione da parte del Governo del decreto legislativo di attuazione della legge delega sulla riforma del processo penale, dovrebbe assicurare il rispetto delle scadenze del Pnrr. Le Commissioni giustizia di Camera e Senato dovranno formulare i loro pareri. La giunta delle camere penali Italiane ha inviato una lettera ai leader dei partiti, in vista delle elezioni politiche del 25 settembre 2022 che le riforme della giustizia, in particolare della giustizia penale e l’ordinamento giudiziario, siano centrali nei programmi. L’Unione delle Camere Penali Italiane, associazione a-partitica  ha svolto in questa controversa e difficilissima legislatura, coerentemente con la sua storia quasi trentennale , un ruolo costante di stimolo, di confronto e di proposta che la Politica ha sempre più esplicitamente riconosciuto ed apprezzato, pur nella legittima diversità delle posizioni e delle ispirazioni ideali. Ritengono i penalisti Italiani che  una profonda e radicale riforma della giustizia penale e dell’Ordinamento Giudiziario, il Paese non può più attendere. Si tratta di riforme indispensabili per l’affermazione di una idea liberale e conforme a Costituzione della Giustizia penale, che auspichiamo possano entrare a pieno titolo, in tutto o anche solo in parte, nei concreti impegni programmatici che ciascuna formazione politica sta per assumere con il corpo elettorale. È  avvertita l’anomalia dell’ordinamento giudiziario dell’Italia, rispetto a quello degli Stati esteri di tradizione liberale, per la quale nel processo penale il giudice ed il pubblico ministero appartengono alla stessa carriera fin dal momento del loro ingresso in magistratura, con evidenti ed insuperabili ricadute su quella che dovrebbe essere la effettiva parità tra accusa e difesa, in aperto contrasto con l’art. 111 della Costituzione, che richiede un giudice terzo ed imparziale. La terzietà del giudice rispetto alle parti processuali e l’imparzialità della sua decisione sono o comunque dovrebbero essere gli obiettivi primari della legge sull’ordinamento giudiziario, raggiungibili solo separando ab origine due funzioni concettualmente inconciliabili: l’accusa (come la difesa) e il giudizio. Di qui l’indispensabilità e l’indifferibilità di una modifica legislativa che separi giudici e pubblici ministeri, in modo che i primi siano liberi da condizionamenti di colleganza nel controllo e nella valutazione dell’azione dei secondi, così come lo sono in relazione alle attività dei difensori, i quali non possono certamente disporre di quel rapporto relazionale privilegiato, perché genetico, che vizia il processo. Con il proposito di assicurare al cittadino un giudice effettivamente super partes, l’Unione delle Camere Penali Italiane ha raccolto le firme a sostegno di una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, la quale, come è noto, sta affrontando il previsto iter parlamentare. Essa prevede la separazione tra magistratura giudicante e magistratura requirente, alle quali si accede con autonomi concorsi, che danno luogo a due carriere autonome, regolate da due CSM (il Consiglio superiore della magistratura giudicante ed il Consiglio superiore della magistratura requirente).Di particolare rilievo è la previsione per cui, a differenza della maggior parte degli ordinamenti di altri paesi europei e anglo-sassoni (che prevedono comunque forme di controllo), il Pubblico Ministero, nella proposta di legge dell’UCPI, mantiene lo stesso statuto di magistrato del giudice, rimanendo autonomo ed indipendente rispetto al potere politico. È per queste ragioni che ben si può affermare che la proposta dell’UCPI, nel garantire effettività alla difesa, rispetta integralmente il ruolo della magistratura tutta, nel senso che assicura un pubblico ministero indipendente dalla politica, ma allo stesso tempo un giudice indipendente dal pubblico ministero. Il collocamento fuori ruolo, presso altre amministrazioni pubbliche, dei magistrati rappresenta, come è noto, una grave anomalia nell’amministrazione della giustizia del nostro Paese. La previsione normativa che consente di sottrarre duecento magistrati alle funzioni per le quali sono stati assunti, formati e retribuiti, appare, in un contesto nel quale la inadeguatezza degli organici viene unanimemente da sempre individuata come una delle cause principali del malfunzionamento del sistema giudiziario, del tutto contradditoria ed irragionevole. La lentezza dei processi penali in Italia è un danno per tutte le parti processuali, oltre che per l’economia del Paese, ma è inaccettabile ed allo stesso tempo illusorio pretendere di risolvere questo problema comprimendo le garanzie del giusto processo e la effettività dei giudizi di impugnazione. Occorre innanzitutto reclutare un ben più alto numero di magistrati e di personale amministrativo negli uffici giudiziari. L’attuale organico della magistratura ordinaria (10.771, peraltro con una scopertura ad oggi del 12,72%) ci pone agli ultimi posti della graduatoria europea (22° su 27 Paesi nel rapporto tra giudici ed abitanti: 11,1%, contro una media europea del 14,4%, con la Germania al 24,5%). Quanto al personale amministrativo, nel 1992 era composto da quasi 53mila unità, oggi, siamo a circa 40mila). Occorre inoltre proseguire con decisione sulla strada della informatizzazione della macchina amministrativa. L’appello del Pubblico Ministero nel nostro ordinamento è corollario del principio di obbligatorietà dell’azione penale. È questa una concezione certamente autoritaria che la dottrina penalistica ha posto in discussione sin dall’avvento della Costituzione Repubblicana. Con la legge “c.d. Pecorella” del 2006 il Legislatore ne aveva sostanzialmente decretata l’abrogazione, ma una successiva sentenza della Corte Costituzionale ha reso nuovamente operativo l’Istituto. La più recente giurisprudenza della Consulta però ha definitivamente negato copertura costituzionale all’appello del P.M. e del resto, la stessa “Commissione Lattanzi” chiamata ad occuparsi delle ipotesi di riforma del processo penale nell’ambito della c.d. “delega Cartabia”, ne ha proposto l’abolizione. Gli interventi riformatori in fieri purtroppo non hanno inteso recepire tali indicazioni. È necessario ribadire e rafforzare il ruolo dell’appello quale imprescindibile prerogativa a disposizione dell’imputato affinché gli sia garantito il diritto ad ottenere una nuova valutazione, nel merito, della vicenda processuale che ha determinato la sua condanna per scongiurare gli ormai sempre più frequenti casi di errore giudiziario.

 

 

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