CINGHIALI: da Erimanto ai tempi di Ercole … all’inerzia della politica di oggi

 

Aldo Bianchini

SALERNO – La storia dei cinghiali è lunga, molto lunga. E’ un animale molto particolare e per secoli non ha mai aggredito l’uomo se non in casi eccezionali, forse per via della sonora lezione che Ercole inflisse al mitologico “cinghiale di Erimanto” (una bestia di alcune centinaia di chili) che terrorizzava le popolazioni del Peloponneso. Alla terza delle sue fatiche il figlio di Zeus lo catturò a mani nude e gli spezzò il collo.

Questa la leggenda mitologica, anche se bisogna dire che in quella occasione ci fu un capo deciso (Licaone, il re di Arcadia) che per eliminare il cinghiale rifugiatosi sui 2224 metri del monte Erimanto chiamò Ercole e l’eroe compì l’immane impresa. Punto.

Al giorno d’oggi il cinghiale di Erimanto, che da un esemplare è cresciuto fino a qualche milione, di sicuro non lo si può combattere distruggendolo (anche se potrebbe portare malattie come la peste suina rilevata su cinque cinghiali morti in loc. Cerreta di Montesano sulla Marcellana) in maniera massiccia; e allora contrariamente all’autoritarismo di Licaone, che allora non aveva il muro di cemento della tantissime associazioni ambientaliste e di protezione degli animali, ecco scendere in piazza i nostri politici con le loro incredibili chiacchiere e promesse fasulle.

Chiacchiere cominciate già da diversi anni in concomitanza con l’insorgere del problema della proliferazione e dismisura di questa particolare specie di ungulati; e le prime mosse per combattere la sua diffusione risalgono al 2015 quando, sulla spinta del consigliere regionale on. Alberico Gambino, la Regione Campania cominciò a prendere coscienza dei danni provocati all’agricoltura, da un’indagine svolta dall’ ISPRA (Istituto Superiore Protezione Ricerca Ambientale) è stato accertato che negli anni dal 2015 al 2021 i danni ammontano ad oltre 120milioni di euro per oltre 105mila eventi denunciati in tutta Italia

A fronte di una popolazione di cinghiali stimata da ISPRA intorno al milione e mezzo al 2021 (con una proliferazione consistente), a crescere è stato anche il numero degli abbattimenti (o, nel gergo tecnico, “prelievi”), con circa 300.000 interventi all’anno (di cui 257.000 in caccia ordinaria e 42.000 in interventi di controllo faunistico. Nel 2015 la Regione Campania pensò, addirittura,  alla installazione di “recinti di cattura” ma i tempi lunghi per la realizzazione e il loro costo nonché le proteste degli animalisti bloccarono sul nascere l’idea. Eppure proprio in quel periodo sulla Sila fu abbattuto un enorme cinghiale che superava il peso di 800 kg.

Al problema di carattere generale si aggiunge il problema territoriale che riguarda il Cilento e il Vallo di Diano con la presenza di cinghiali non autoctoni appartenenti ad una razza caratterizzata da un ibrido -tra il cinghiale ed il maiale nero dei nebrodi- che ne fa una specie faunistica particolarmente aggressiva anche nei confronti degli esseri umani. Una specie meno costosa e più pericolosa; anche questo seppero fare i nostri politici che per liberare quanti più cinghiali possibili cercarono di acquistarli a prezzo ridotto, in quel periodo in cui i vari comuni facevano a gara a chi liberava più ungulati in una dissennata corsa al loro ripopolamento a cavallo tra gli anni 70 e 80.

Oggi il grave problema vede due facce della medagli: da un lato l’eccessiva proliferazione, dall’altro la quasi totale scomparsa di cacciatori specializzati.

E dopo la scoperta della possibile peste suina c’è la corsa a minimizzare quanto più possibile il fenomeno negando ogni eventuale rischio di infezione per l’uomo. Vedremo !!

 

 

 

 

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