FACCETTA NERA SARAI TRADITA. IL TORMENTO DI PIO XI

 

da Matteo Claudio Zarrella

(magistrato e già presidente del Tribunale di Lagonegro, scrittore)

Dr. Matteo Claudio Zarrella - magistrato, già presidente del Tribunale di Lagonegro

===Sulle ali della propaganda, nell’aprile del 1935, esce “Faccetta Nera”. È la narrazione cantata di una buona Italia che, avanzando verso l’Impero, accoglie il popolo abissino liberandolo dalla schiavitù. Liberata, la bella abissina sarebbe divenuta romana, in marcia, avanti al Duce e avanti al Re, italiana tra italiani, sotto una stessa bandiera. Una alterazione della realtà, chissà quanto voluta. È il 9 maggio dell’anno XIV dell’era fascista. Mussolini dal balcone di piazza Venezia annuncia la “riapparizione dell’Impero sui Colli fatali di Roma” e domanda: “Ne sarete degni?” la folla risponde con un gigantesco Sì. Mussolini rilancia: “Questo grido è come un giuramento sacro, che vi impegna dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, per la vita e per la morte!”. Un giuramento plebiscitario, testimoniato davanti a Dio. Alla cerimonia di ringraziamento per la proclamazione dell’Impero, nell’affollato Duomo di Milano, il cardinale Schuster celebra la solenne messa del TE DEUM. Il Papa è sconcertato, nel presentimento di una deriva razzista. L’Italia dell’Impero teme contaminazione di razze. Il regio decreto-legge del 19 aprile 1937 vieta, sanziona con il carcere, matrimoni misti tra colonizzatori e colonizzati, impediti a riconoscere figli nati dalle loro unioni. In Germania dal 1935 sono in vigono leggi razziste. Pio XI scaglia contro la Germania razzista e statolatrica, nel giorno della Domenica delle Palme del 14 marzo 1937, l’Enciclica “Mit Brenneder Sorge” (Con Bruciante Ansia), non nel latino curiale ma in lingua tedesca, diretta, immediatamente comprensibile, al popolo tedesco. Se ne stampano 300 mila copie, distribuite segretamente alle Chiese cattoliche tedesche. I Parroci della Germania sono chiamati a leggerla nelle chiese, senza preavviso alle Autorità tedesche, che per volere di Hitler, reagiscono con rabbiosa determinazione, con arresti, devastazioni e chiusure di tipografie. La voce della Chiesa, da sola, si leva contro il Nazismo. Einstein riconosce che, “zittite le Università, zittiti i grandi editori, solo la Chiesa rimase ferma in piedi a sbarrare la strada alle campagne di Hitler per sopprimere la verità”. Con quella Enciclica la Chiesa ribadisce il doveroso riconoscimento del diritto naturale. Il 19 marzo 1937 Pio XI promulga l’Enciclica “Divini Redemptoris”, contro l’idea di “falsa redenzione”, propugnata del comunismo. Pio XI non avversa la partecipazione del Fascismo alla guerra di Spagna, non avendo occhi per vedere i massacri descritti dal genio di Picasso nel vistoso quadro su Guernica.

Il Duce sul balcone di Palazzo Venezia annuncia la nascita dell'impero ad una folla entusiasta ed osannante

Vive con inquietudine le sue contraddizioni. “Il Giornale d’Italia” del 14 luglio 1938 pubblica il “manifesto della razza”. Appena un giorno dopo Pio XI insorge, parlando del razzismo come “una vera apostasia morale”. Ed il 28 luglio ribadisce: “Il genere umano non è che una sola e universale razza di uomini”. Gli fa eco il Cardinale Schuster. Nell’omelia della prima domenica dell’Avvento (13 novembre 1938), in un Duomo sempre affollato, segnala il serpeggiare di una “specie di eresia, nata all’estero, il razzismo, pericolo internazionale non minore dello stesso bolscevismo”. Più volte il Cardinale pronuncia quella tremenda parola, “eresia”, quasi a preludere ad un pronunciamento di scomunica degli uomini del Regime. Il 15 novembre il giornale cattolico “L’Italia” pubblica a tutta pagina l’omelia. Il 17 novembre, con la firma impassibile del Re, entrano nell’Ordinamento Italiano le leggi razziali. Gli appelli del Papa e del Cardinale Schuster non sono raccolti dal prudente Clero, in disagio alla celebrazione di matrimoni “misti” tra ebrei e cattolici “ariani”. Simpatie antisemite vengono anche da ambienti ecclesiastici. Perfino da padre Agostino Gemelli, segnalato da Farinacci a Mussolini, in una lettera del 19 marzo 1939, come uomo fidato: “Con i tempi che corrono, avere un uomo veramente nostro attorno al successore di San Pietro sarebbe cosa utile”. Nel 1938, dal 3 al 9 maggio, Hitler è in visita in Italia. Pio XI decide di non riceverlo, nonostante la insistente pressione di Mussolini. Vieta all’automobile dei due dittatori, a capo di trionfante corteo, di passare per via della Conciliazione e nei pressi di Piazza San Pietro. Vieta ai palazzi di proprietà del Vaticano di addobbarsi con stemmi nazisti e di sventolare bandiere tedesche con le sacrileghe croci uncinate. Avvisa gli “eccellentissimi vescovi” di declinare gli inviti a cerimonie in onore del dittatore tedesco, dato che “il Santo Padre desidera che si astengano dall’accettarli vista la persecuzione religiosa in Germania”. Pio XI ha poco tempo di vita. Il cuore ottantaduenne sta per cedere. Chiede ai medici di fare tutto il possibile per rimanere in vita almeno fino all’11 febbraio, giorno del suo preannunciato discorso in occasione del decennale del Concordato. Ha urgenza di rimediare agli errori della Chiesa e di sbarrare il passo alla statolatria razzista. Ha dato incarico, in gran segreto, al gesuita La Farge di predisporre l’enciclica “Humani generi unitas”, per proclamare l’unità del genere umano, senza distinzione di razza. Mercoledì 8 febbraio 1939 gli si presenta il confessore, in anticipo, anziché di venerdì come d’uso. Pio XI, in affanno, accelera le procedure. Nell’appartamento papale fa dare una fugace lettura del discorso al segretario di Stato Pacelli. All’alba di venerdì muore. Pacelli, quale Cardinale Camerlengo, ordina la distruzione delle copie del discorso e dei materiali tipografici. Il discorso “nascosto”, riemerge in parte, da una bozza ripresa da Papa Giovanni XXIII. Sarebbe stato il testamento spirituale di un Papa compresso dai venti impetuosi di una Storia che avrebbe voluto domare con i principi eterni dell’insegnamento di Cristo. A Lapio la Storia giunge come eco lontana, senza rimarcare i malefici della guerra, lo sterminio di popolazioni d’Etiopia dissolte nel gas e l’ingiustizia delle disumane leggi razziali. Si continua a cantare: Faccetta nera, sarai romana.

 

I soldati italiani accolti in Abissinia dal popolo indigeno festante, al suono della canzone "Faccetta Nera"

Il testo integrale di “Faccetta Nera”

Se mo dall’artipiano guardi er mare
Moretta che sei schiava tra le schiave
Vedrai come in un sogno tante navi
E un tricolore sventolar per te

Faccetta nera, bell’abissina
Aspetta e spera che già l’ora si avvicina
Quando staremo vicino a te
Noi te daremo un’altra legge e un altro Re

La legge nostra è schiavitù d’amore
Ma è libertà de vita e de pensiere
Vendicheremo noi Camicie Nere
Gli eroi caduti e liberando te

Faccetta nera, bell’abissina
Aspetta e spera che già l’ora si avvicina
Quando staremo vicino a te
Noi te daremo un’altra legge e un altro Re

Faccetta nera, piccola abissina
Te porteremo a Roma, liberata
Dar sole nostro tu sarai baciata
Sarai in Camicia Nera pure te

Faccetta nera, sarai romana
E pe’ bandiera tu c’avrai quella italiana
Noi marceremo insieme a te
E sfileremo avanti al Duce e avanti al Re

Noi marceremo insieme a te
E sfileremo avanti al Duce e avanti al Re

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *