Elezioni Sardegna: campanello d’allarme per il cdx dopo appena 492 giorni ?

 

Aldo Bianchini

Alessandra Todde - governatrice della Sardegna

SALERNO – In queste ore leggo ed ascolto di tutto e di più in merito alla “vittoria sul filo di lana” della candidata Alessandra Todde, già vice ministro, (PD e Mov 5 S) contro Paolo Truzzu (CDX), sindaco di Cagliari, nelle elezioni amministrative regionali della Sardegna, primo vero test elettorale per la Meloni & C. dopo lo straripante successo alle elezioni politiche del 2022.

Il risultato sardo, è bene dirlo subito, non è un campanello d’allarme, è molto m molto di più e discende direttamente dalla frenesia che prende, ormai storicamente, i partiti del cdx dopo ogni vittoria elettorale.

Una frenesia frutto, forse, del fatto che nonostante i ripetuti successi non c’è ancora tra Meloni, Tajani e Salvini la cultura di dover accettare di esse secondi o terzi nella coalizione; manca, insomma, il collante che fino all’anno scorso era rappresentato da Silvio Berlusconi, capace di mettere a tacere le diatribe interne E/o di buttare fuori chiunque non rimanesse vincolato ai patti.

Ma Berlusconi non c’è più ed alla prima prova di forza del cdx senza la sua figura tutto sembra essersi avviato verso il tramonto, anche perché le sconfitte sul filo di lana (ce lo insegna l’atletica leggera) sono sempre più amare delle sconfitte nette e denotano un disagio nei rapporti di forza molto pericoloso per le prove elettorali, molto più significative, che stanno per arrivare.

Lo stesso discorso, ovviamente, vale anche per il csx che non dovrà farsi eccessive illusioni anche in funzione del fatto che le elezioni nazionali sono un conto e le regionali, provinciali e comunali sono un’altra storia. E poi perché a vincere è stata una esponente di spicco dei Cinquestelle e non del PD; e questo sicuramente avrà un peso nell’immediato futuro.

Comunque l’allerta suonata in Sardegna è veramente pesante; il giochetto su chi candidare in Sardegna è costato carissimo e i tre leader del cdx dovranno farsene una ragione ed incominciare a capire che di fronte agli elettori queste manfrine di potere non pagano; soprattutto non pagano quando invece di sviscerare il problema all’interno di una stanza ben ovattata i tre protagonisti, un giorno sì e l’altro pure, si dannano l’anima a parlare e straparlare pubblicamente.

Al di là di tutto questo il mio pensiero è preciso: da domenica 26 febbraio 2024 qualcosa è cambiato e ad appena 492 giorni da quel clamoroso successo del 22 ottobre 2022 la tendenza sembra essersi incrinata, di poco ma sicuramente incrinata.

La ragione principale, almeno io, la vedo nel fatto che da un iniziale e sostanziale silenzio dei vincitori si è passati, mano a mano, alle cavolate inanellate da vari esponenti del governo ed agli sproloqui quotidiani della stessa Meloni che, forse, si è lasciata prendere dal gioco al massacro cui la politica in senso lato espone tutti i suoi attori che a turno cadono nella trappola.

Insomma se Giorgia Meloni ha mai avuto un pregio nei primi mesi della sua presidenza, era sicuramente quello di parlare pochissimo; quel pregio non esiste più ed i risultati negativi non si sono fatti attendere.

Ma gli stessi Pentastellati lo insegnano; anche loro dopo lo straripante successo del 2018 si impegnarono a non parlare troppo, ma la cosa durò pochissimo e subito incominciò la caduta precipitosa.

Come dire che la vera svolta non c’è stata e i tanti protagonisti della vita politica che dovevano essere buttati fuori a calci sono ancora ben ancorati alle loro poltrone.

 

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