IL CARD. RUINI A SALERNO: RIFLESSIONE SULL’ANNO DELLA FEDE

Da Roberto Galdi

SALERNO – Nel pomeriggio del 23 ottobre, presso il Seminario Metropolitano “Giovanni paolo II” in Pontecagnano Faiano, si è celebrata l’inaugurazione dell’anno accademico. Erano presenti, insieme all’arcivescovo Mons. Luigi Moretti, i vescovi della metropolia. Nell’occasione il cardinale Camillo Ruini che ha tenuto una lezione magistrale su: “Trovare Dio con la fede e la ragione”. Come l’uomo può arrivare alla fede attraverso un percorso della ragione, nel senso corretto del termine. Un intervento che si inserisce nel cammino che quest’anno siamo chiamati a fare. Da qui una riflessione. E’ appena iniziato “l’Anno della fede”, indetto da Benedetto XVI nella ricorrenza del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e a venti anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.  Per noi della comunità salernitana c’è stato come un preludio nell’udienza dal Papa il 3 ottobre, in ringraziamento per la beatificazione di Don Mariano Arcieri. Una prima domanda sorge spontanea: perché un anno della fede? Come se la fede potesse riguardare un anno e poi tutto dovrebbe passare. Ma ancora di più, uno potrebbe dire: perché credere? E in chi credere? Cerchiamo di rispondere alla prima domanda. La fede, come le altre virtù teologali speranza e carità, non è qualcosa che deve riguardare un periodo della vita, un particolare momento e poi tutto può passare. Finito l’anno, finito tutto. La fede è un “habitus”, è qualcosa che segna l’uomo, lo caratterizza dal momento in cui è stato battezzato e l’accompagna per tutta la vita. La fede però può crescere, affievolirsi, diventare inincidente nella vita delle persone, e può riaffiorare nel tempo. Ci possono essere particolari avvenimenti in cui noi siamo sollecitati a riflettere, a porci domande che attendono risposte esaurienti. Ci possono essere occasioni in cui siamo più provocati ad andare alle radici della nostra esperienza cristiana per una maturazione della fede, così da rendere la nostra appartenenza alla Chiesa, segno e testimonianza per gli altri. Ed ecco una delle ragioni per cui il Santo Padre ha indetto l’Anno della Fede. Ma perché credere e in chi credere? Per rispondere a queste domande dobbiamo soffermarci su due realtà: il nostro cuore e la storia. Sarà capitato ad ognuno di noi, in alcune circostanze della vita particolarmente felici, di desiderare che quel momento non finisse mai. Per esempio esprimere alla persona amata la volontà che quell’amore possa essere per sempre. Questo rivela un desiderio di felicità, di totalità, di compimento. Oppure dinanzi al lutto di una persona cara e chiedersi: è tutto finito con la morte? In noi esiste questo desiderio di infinito; eppure siamo delle persone limitate. Perché avviene questo?  Quante volte desideriamo una giustizia, un desiderio di bellezza, di bene, di conoscenza piena? Noi esprimiamo quel bisogno primordiale di vivere, di sopravvivenza della specie, di soddisfare la fame e la sete, e a queste corrispondono il cibo e l’acqua. Ora se per tutto questo esistono delle risposte, per quelle domande fondamentali che ogni uomo si è sempre posto, è possibile che non esistano risposte adeguate? Per il fatto stesso che esistono questi bisogni e queste domande, devono esistere delle risposte, in noi c’è questa esigenza. Si può desiderare solo ciò che si intuisce. Di fronte alla bellezza del creato, di fronte alla bellezza del sorriso di un bambino, al miracolo della vita non possiamo che aprirci, usare la ragione come apertura alla realtà che travalica la nostra misura, intravedere il mistero, comprendere che c’è un oltre. Scrive don Giussani nel “Senso Religioso”: “Solo l’ipotesi di Dio, solo l’affermazione del mistero come realtà esistente oltre la nostra capacità di ricognizione corrisponde alla struttura originale dell’uomo. Se la natura dell’uomo è indomabilmente alla ricerca di una risposta; se la struttura dell’uomo dunque è questa domanda irresistibile e inesauribile, si sopprime la domanda se non si ammette l’esistenza di una risposta”. Dal primo momento che l’uomo è apparso sulla terra, in ogni cultura, ha innalzato il suo sguardo al cielo con gli occhi pieni di stupore e ha ipotizzato una causa all’origine di tutto. Quando questo primo uomo ha incominciato ad onorare i morti ha intuito la possibilità di una vita oltre la morte. Così è nato “l’homo religiosus”. Da ciò le religioni, i vari idoli, i vari riti. Tutti tentativi dell’uomo di dare un volto al divino. Anche tra i pagani incominciava ad affacciarsi una possibilità nuova. Platone nel Fedone intravede questo bisogno di conoscenza piena: “Dobbiamo attraversare il pelago della vita sulla fragile zattera della parola umana, in attesa di poter fare la stessa traversata, su una nave più salda, cioè sulla rivelazione” Egli riconosce che il tentativo dell’uomo di conoscere la verità è limitato ed inadeguato. Ma c’è stato un momento particolare in cui non è stato più l’uomo a rivolgersi verso un dio qualsiasi, ma è stato Dio stesso ad irrompere nella storia. Questo avviene quando Dio si manifesta ad Abramo, lo sceglie e gli fa la promessa di una discendenza. Inizia il cammino di Dio col popolo d’Israele. Dio si coinvolge nella sua storia, lo guida fino alla terra promessa e gli preannuncia un Salvatore. Un uomo che gli apostoli riconoscono come eccezionale e si chiedono di fronte ai miracoli e ai segni: “chi è quest’Uomo al quale obbediscono anche il mare e il vento”? Ma ci sarà un segno ancora più grande: la sua Resurrezione. E gli apostoli hanno testimoniato questo, una testimonianza che è arrivata fino ai nostri giorni. Noi crediamo in Gesù che ci ha promesso la vita eterna, in forza di questa testimonianza. Ma Gesù Cristo non è relegato ad un passato, Egli è vivo, è presente ed opera in ciascuno di noi. Se il nostro cuore oggi viene interpellato è perché Egli ha detto che sarà con noi fino alla fine. Egli vuole che tutti, in ragione della sua Redenzione,  siano salvi.

 

 

 

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