Palestina-Israele: dopo tre anni di gelo si riaprono le trattative

 

Maria Chiara Rizzo

A seguito della decisione del governo israeliano di rilasciare 104 detenuti palestinesi, Israeliani e Palestinesi si sono seduti intorno allo stesso tavolo per rilanciare il processo di pace ormai in fase di stallo da tre anni, sotto la guida e la mediazione del Segretario di Stato americano John Kerry. Un incontro tanto sperato da alcuni che dovrebbe portare a una meta raggiungibile, però, solo superando numerosi ostacoli  rappresentati da vecchie e spinose questioni su cui i leader dovranno scendere a compromessi. I temi scottanti come le frontiere dello stato sionista e quello di un futuro stato palestinese, gli insediamenti israeliani, lo status di Gerusalemme, la piaga dei rifugiati e dei prigionieri saranno passati al setaccio con l’obiettivo di riuscire a trovare la possibilità di “un accordo”.  Ma, mentre il governo israeliano ha accettato la precondizione, ovvero la liberazione di alcuni prigionieri, per sedere al tavolo delle trattative, il primo ministro Netanyaho fa sapere che sarà fuori discussione rientrare nei confini del 1967, così come sarà difficile bloccare la nascita di nuove colonie israeliane. Insomma, arriva il primo no a due punti della condizione sine qua non l’Autorità Palestinese non si era detta pronta a rilanciare il processo di pace con lo storico nemico. Insomma, sembra proprio che ci si muova su un terreno scivoloso che non lasci troppo spazio a prospettive ottimistiche.  Ma come avrà fatto Kerry, date le premesse, a far riunire le due équipe intorno allo stesso tavolo? Resta un mistero.  Intanto, secondo indiscrezioni, pare che Abbas sia disposto a riconosce alcune delle colonie costruite dopo il 1967 e che, dunque, in caso di accordo, possano essere ritenute territorio israeliano.  L’incontro non è visto di buon occhio da partiti di entrambi gli stati e soprattutto dalla popolazione palestinese: il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) – partito di sinistra- ha dichiarato che la decisione di riprendere il dialogo con Israele non ha ricevuto l’avallo totale dell’OLP. La perplessità nasce anche dal fatto che la trattativa viene svolta sotto “l’egida” degli Stati Uniti, proprio come gli Accordi di Oslo negli anni ’90. Una dirigente del partito palestinese, KhaledaJarar, ha commentato così: “Noi abbiamo fatto dei passi verso le Nazioni Unite affinché’ il nostro caso non finisse nelle mani dell’America”, in riferimento alla decisione dell’Onu di accordare alla Palestina lo status di Stato Osservatore, nonostante l’opposizione americana.

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