GIUSTIZIA: una prima ingiustizia della “riforma Orlando”, la giustizia favorisce i ricchi.

 

 

di Giovanni Falci (avvocato)

SALERNO – Il nuovo art. 162-ter c.p. e l’estinzione dei reati per condotta riparatoria

Assolutamente evidente appare la finalità deflattiva della nuova causa di estinzione di reati , introdotta nel codice penale con l’art. 162-ter, che permette all’imputato di evitare il processo se, in fase preliminare al dibattimento di primo grado, operi restituzioni e risarcimento o ne faccia offerta in forma reale e in misura che possa esser valutata congrua dal giudice.

Ove possibile, inoltre, l’imputato dovrebbe eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato per cui è processo.

Seppur applicabile solo ai processi per reati perseguibili a querela rimettibile, la misura è, almeno potenzialmente, tale da comportare una notevole riduzione dei carichi attualmente gravanti sul sistema giustizia, notoriamente ridotto al collasso.

La deflazione dei carichi che gravano su tutti gli uffici giudiziari e contribuiscono a rendere ingestibile il sistema è intento certamente apprezzabile.

Tuttavia, la realizzazione, che di quest’intento si ipotizza, sembra poter sollevare più d’una perplessità.

Innanzitutto, non si mancherà di sottolineare il fatto che il risarcimento del danno è prevalentemente economico, se non monetario; esso, pertanto, graverà in modo diverso su soggetti chiamati a rispondere del medesimo reato ed introdurrà, conseguentemente, una nuova ed intensa forma di discriminazione tra soggetti che, al cospetto della legge, dovrebbero avere medesima dignità, posizione e valutazione.

Meno gravoso sarà la sforzo dell’imputato abbiente rispetto a quello cui si esporrà chi ha una posizione più umile.

Addirittura impossibile sarà, invece, una spontanea attivazione virtuosa da parte degli imputati che hanno diritto al patrocinio a spese dello Stato (i quali, peraltro, non vorranno contraddire un’ordinanza di accoglimento eventualmente “generosa”).

Eppure, il risultato cui tanta virtù dovrebbe tendere è uguale per tutti: sfuggire al processo, quantomeno nei casi in cui la condanna appaia probabile.

Il risultato effettivo, invece, sarà che l’imputato abbiente potrà schivare con poco sforzo quella stessa condanna che, per fatti assolutamente sovrapponibili, colpirà chi non possa permettersi di fingere buona volontà.

Risultato ulteriore, e francamente poco apprezzabile, rischia di essere quello di rendere evidente che la pena, almeno nei casi di reati procedibili a querela, non trova giustificazione nelle teorie classiche (retribuzione, mantenimento dell’integrità dell’ordinamento, minaccia) per essere invece uno spauracchio finalizzato al riequilibrio di posizioni private, turbate dalla condotta oggetto di rubrica penale ma non più valutabili dal giudice.

La possibilità di ricorrere a questa norma sarà di incremento a quegli abusi del processo che già oggi si praticano. Si denunciano condotte che hanno ben poco di penalmente rilevante solo al fine di ottenere vantaggi che nel processo civile sono lunghi e incerti. Quante truffe vengono denunciate perché non si è nella possibilità di adempiere l’obbligazione?

Ulteriore titubanza fa sorgere la formulazione del testo, laddove non si chiarisce la differenza tra restituzioni e risarcimento, da un lato, ed eliminazione delle conseguenze dannose (basterà un solo adempimento o sarà necessaria la compresenza di tutti?); e si indica l’obbligo di eliminare queste ultime, stemperando però il tutto con la genericità di quell’ove possibile che può temersi darà adito a valutazioni caso per caso e, quindi, a qualche, probabile ed incolpevole arbitrio.

(Segue)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *