Baldi Connection/7: le ingiurie manzoniane

 

Aldo Bianchini

SALERNO – L’ho detto e scritto numerose volte che il mestiere di giornalista, quando lo si vuole fare con una certa autonomia, è palesemente molto difficile. Anche di fronte alle difficoltà un giornalista, però, dovrebbe sempre cercare di mantenere alta la bandiera della deontologia e dell’etica professionale. Che sia un mestiere difficile non c’è dubbio, ma è anche un mestiere affascinante perché ti da la possibilità di entrare in diretto contatto con le tantissime diversità del genere umano, ti offre molti conoscenti, qualche amico e tantissimi avversari denigratori che sono molto più pericolosi se amici o semplici conoscenti. Il necessario è riuscire sempre a tenere la schiena dritta per poter andare avanti in un percorso irto di ostacoli e di porcherie che solo il genere umano sa produrre. In alcuni casi specifici, soprattutto quando per correttezza deontologica si devono raccontare e interpretare fatti e misfatti, tocca di parlare anche di qualcuno di loro. <<Le ingiurie hanno un vantaggio sui ragionamenti –scriveva Alessandro Manzoni- ed è quello di essere ammesse senza prove e da una moltitudine di lettori>>. Forte di questi principi nella mia infinita correttezza, non avendo niente da nascondere (tranne una piccola antennina per auto regalatami dopo una trasmissione televisiva –costo non superiore ai 5 €-) ho raccomandato alla mia redazione di pubblicare tutto quello che i lettori scrivono nei loro commenti, anche di male, sul mio conto purchè si mantengano nell’ambito di una dialettica corretta e non volgare. Ho sempre combattuto le accuse spicciole e le grossolane ingiurie e nell’inchiesta sui falsi invalidi ce ne sono tantissime. Non difendo Giovanni Baldi per partito preso o peggio per interessi personali; Baldi non mi ha dato mai niente, e neppure gli ho chiesto mai niente. Potrei dire il contrario per chi si diverte a lanciare accuse e ridicoli anatemi tirando in ballo persone e cose che non l’inchiesta in questione non c’entrano assolutamente nulla ed attengono la riservatezza della privacy personalissima. Ma sono, ovviamente, di gran lunga superiore a queste bassezze e soltanto questo mi da la forza di andare avanti in un contesto squallido in cui si muovono personaggi e persone senza la minima dignità personale e professionale. Io sono abituato a fare il giornalista ragionando sui fatti e sui misfatti per cercare di dare il mio contributo alla risoluzione dei casi ed alla ricerca della verità, esattamente come dovrebbe essere per tutti e che non è. Da qualche giorno non avevo più toccato l’inchiesta dei presunti “falsi invalidi” perché preso da altri avvenimenti, anche più importanti, come le relazioni amicali tra Cosimo D’Andrea e Salvatore Ligresti. Sono stato indotto a ritornare sull’inchiesta di Cava perché mi pare di capire (forse l’ho già scritto !!) che Cava de’ Tirreni dal ruolo di “piccola Svizzera” sia rapidamente passata al ruolo di “covo di illegalità” pur non potendo contare sull’imponente schieramento bancario della “Bahnhofstrasse” di Zurigo. Una cosa, però, è certa e riguarda l’impostazione che la Procura sta dando al “caso Cava”: la caccia a tutti gli uomini del presidente che a Cava hanno trovato l’esaltazione più corposa del potere che si è esteso anche a buona parte dell’agro nocerino-sarnese, zona in cui da sempre si vincono o si perdono le elezioni provinciali. Nella prossima puntata parlerò proprio di tutti gli uomini del presidente ed anche del caso che ha investito Luigi Napoli, già assessore provinciale, già candidato sindaco di Cava ed attuale presidente del consorzio farmaceutico dell’Irno. Alla prossima.

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