La strage di San Valentino

di Michele Ingenito

ROMA – E così il nuovo “bell’Antonio” della politica italiana gettò la maschera e si appropriò dell’Italia. Bellezza per bellezza, poteva non farlo alla vigilia del Santo Bello per eccellenza? San Valentino? Per gli amanti del “double face”, dietro la bellezza di quel volto fiorentino si nasconderebbe, in realtà, l’astuzia cinica e perversa di un nostro connazionale di ben maggiore reputazione, sia pure criminale: Al Capone, ossia il gran mafioso italo-americano meglio noto come “Scarface Al” che, in una diversa e per molti aspetti analoga vigilia festiva di 85 anni fa concepì nella sua villa di Miami e fece poi realizzare (il 14 febbraio 1929) la famosa strage di San Valentino, ordinando ai propri affiliati travestiti da poliziotti il massacro degli uomini del clan rivale.

Matteo Renzi non è stato da meno. Con il ben servito all’”amico” Enrico (Letta) ha realizzato a suo modo la strage odierna di San Valentino. Giorno in cui il nostro ormai defunto PM sta per recarsi al Quirinale per rimettere l’incarico di Primo Ministro. Dopo cinque mesi soltanto, cinque miserrimi mesi. Che schifo!

Non per lui, certo. Perché chi per questi mari va, questi pesci piglia. Ma perché, rispetto al mafioso italo-americano, il suo massacro (che è del compare Matteo) investe un’intera nazione. L’Italia.

Chi ci capisce è bravo. Machiavelli non è nessuno rispetto al manipolo bene addestrato di ‘enfants prodiges’ che lui stesso ha generato nei secoli. I più illustri dei quali sembrano collocarsi nella moderna scia dell’inossidabile re Giorgio & Company.

Che senso ha, Renzi, sostituirsi a Letta? Il nuovo direttore del TG4, Mario Giordano, ha ricordato ieri testualmente tutte le sue dichiarazioni, secondo le quali non avrebbe mai e poi mai fatto le scarpe a Letta. Finendo con il ridicolizzarla, ovviamente!

Che lei sia stato imbeccato dal Presidente Napolitano è pacifico. Che il Presidente della Repubblica sia stato e continui ad essere il vero padre-padrone della politica italiana degli ultimi anni non lo è da meno. Che abbia le sue ragioni, ci crediamo perché lo dice lui. Che Alan Friedman abbia sputtanato un po’ tutti (Napolitano incluso) non si può altrettanto negare.

Ma allora, dove va questa Italia impazzita fatta da una classe politica e dirigente che si contorce a ripetizione intorno al maledetto potere purché sia e resti comunque al potere? Cosa cambierà nella sostanza tra Letta e Renzi in termini di guida della nazione? Nulla, solo nulla. A meno che il novello toscanaccio, che dalla sua ha solo la giovane età, non tiri fuori dal suo cilindro a gruviera le soluzioni politiche e di politica economica magiche ignote all’”amico Enrico”.

Ma allora perché non rivelargliele? Un buon segretario di uno stesso partito politico aiuta concretamente l’esponente che lo rappresenta al governo ai massimi livelli.

Cosa ne è, ci chiediamo, della classe politica e di governo italiana agli occhi delle grandi potenze del mondo, per giunta alleate? Dinanzi a questo balletto inverecondo di superpoltrone, di primi ministri che vanno e vengono, di

governicchi che ormai non reggono neanche al peso di un anno, chi riconoscerà più i colleghi negli incontri internazionali delle delegazioni di governo nel corso dei sempre più frequenti meeting internazionali?

Ci ridono appresso e questi gentlemen dalla faccia più tosta e zozza dei prodotti mortali della terra dei fuochi fanno finta di non accorgersene. Tanta è la puzza che li investe da sempre!

Noi siamo men che niente nella collocazione politica delle potenze mondiali che contano. Provate a recarvi nei pressi di Downing Street a Londra o a Times Square a New York o nelle altre grandi capitali del mondo. Pochi o nessuno riesce mai a ricordare con esattezza il nome del PM italiano in carica. La Merkel la conoscono tutti, Hollande altrettanto, Cameron ancor più. E sapete perché? Non perché l’Italia della politica e di chi la rappresenta sia antipatica. Ma solamente perché il balletto dei governi che vanno e vengono è così frequente e consolidato che la gente comune pensa al nostro come al Paese di Pulcinella. Che non conta niente, che ha poca autorevolezza, che non potrà mai imporre una propria linea autorevole in un pur delicato momento quale è quello che ci contrappone alla delicata vicenda con l’India e i due marò.

Perché la credibilità e la conseguente autorevolezza nascono dalla stabilità, non dal pellegrinaggio di questuanti alla poltrona che vendono l’anima al diavolo pur di salire le scale dell’impero.

Siamo più che convinti che, anche questa volta, re Giorgio abbia portato per mano lo scolaretto Fra Matteo a danno di Padre Silvio, tirando fuori il consolidato asso nella manica.

Quale, come? Semplice. Propinandogli, come le volte precedenti a Monti e poi a Letta, la favola reale dell’ennesimo crollo giudiziario imminente del Cavaliere. La volta scorsa per mano della Suprema Corte di Cassazione del giudice Esposito. Che ci fu. Questa volta per la più che certa mazzata restrittiva in arrivo da Napoli da parte di Sir Henry John (Woodcock).

Quindi, caro Matteo, che figura ci farà al momento dell’arresto di un alleato con il quale ha concordato il tradimento del compagno Letta? Farsi trovare in combutta con un ultra pregiudicato? Voli alto e si accontenti di un Premierato. Tanto Letta uscirà dalla porta e rientrerà dalla finestra. Come? Con una poltrona prestigiosa. Gli Esteri, ad esempio, perché no?

Evviva l’Italia! Chi non si vende è perduto! Fosse anche saggezza machiavellica che in verità ci sfugge.

Ma ci chiediamo, come italiani, cosa ci guadagnano il Paese, la gente comune, quelli che non sbarcano il lunario, gli indigenti, i poveri, coloro che oggi come oggi farebbero crescere Grillo e i grillini, a buona ragione o a torto che importa, da questo spettacolo indecente che accende la rabbia e spegne la speranza?

Nulla, solo nulla, disgustosamente nulla. Solo un senso di malcelata frustrazione e di impotenza dinanzi ad una classe dirigente che, a tutti i livelli, non perde occasione per consolidarsi, guerreggiando tra sé, fingendo più spesso, tradendosi e tradendo di sicuro franceschianamente, ma restando sempre al centro di quel grande e miserabile carrozzone chiamato potere.

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