SALERNO – Non me ne voglia nessuno, soprattutto i magistrati, ma quando leggo gli atti ormai pubblici delle varie inchieste mi sorprendo spesso a pensare che tutta la verità è già scritta; sarebbe sufficiente mettere i vari tasselli al loro posto ed il mosaico sarebbe bello e pronto. E se a me appare così semplice la soluzione del problema, perché agli investigatori non si evidenzia con altrettanta chiarezza ? E’ vero che pro-reo esiste il fatto non trascurabile che le “inchieste giudiziarie” sono spezzettate e distribuite su più tronconi ed affidate a più magistrati che non parlano tra loro (per riservatezza ?, per invidia professionale ? o per gestione del potere ?), ma è altrettanto vero che il quadro è assolutamente chiaro ed anche pubblico che mi spaventa il solo pensare che qualcuno o qualcosa non voglia scoprire il famoso o famigerato “vaso di Pandora” nel quale, secondo la mitologia greca, la bellissima Pandora custodiva tutti i mali del mondo. Una lezione ci viene dal passato quando sul finire degli anni ’80 alcuni pm della Procura di Milano si riunirono e decisero le basi operative per un’azione di legalità senza precedenti; “tutti insieme appassionatamente” scrisse qualcuno ironicamente agli albori di tangentopoli per sminuire l’azione univoca di Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Gherardo Colombo, Tiziana Parenti, Ilda Boccassini (guidati dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli e dal suo vice Gerardo D’Ambrosio). I sei pm raccoglievano tutte le inchieste sulla pubblica amministrazione (compresi gli appalti pubblici) e sulle sue derive istituzionali, ognuno conosceva gli incartamenti dell’altro e tutti insieme erano spalleggiati da un unico gip, Italo Ghitti, che nei primi 18 mesi di quella fase della storia giudiziaria italiana svolgeva appunto le funzioni di “giudice per le indagini preliminari” ed era titolato ad avallare le richieste (spesso drammatiche e a volte anche fuori le righe) dei pm sopra citati. Nasceva così il mitico “pool Mani Pulite” che demolì partiti storici come la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano, il PSDI, il PLI; partiti che sparirono o furono fortemente ridimensionati, tanto da far parlare di un passaggio ad una Seconda Repubblica.
Famosissima la frase di Antonio Di Pietro pronunciata al telefono con l’avvocato Nerio Dodà (difensore dell’ing. Mario Chiesa rinchiuso a San Vittore) dopo aver scoperto i due conti svizzeri, Levissima e Fiuggi, del presidente del Pio Albergo Trivulzio e che suonava così: “Avvocato, riferisca al suo cliente che l’acqua minerale è finita”. Anche a Salerno, sull’onda populistica di Milano e per i sicuri rapporti che Michelangelo Russo intratteneva con quella Procura per essere stato al suo interno e per le conoscenze che certamente Ilda Boccassini ancora aveva con la sua città (Salerno !!), nacque prestissimo il “pool mani pulite” inizialmente costituito dai pm Michelangelo Russo, Vito Di Nicola e Luigi D’Alessio che, però, seguirono strade diverse da quelle milanesi e pur non avendo un solo gip di riferimento riuscirono comunque a smantellare in pochissimi mesi un “sistema politico di potere” che evidenziava tutte le caratteristiche “della oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe di istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari”. Come fecero ? E’ è presto detto: partirono da un fascicolo denominato “Dossier Salerno” costruito alla bisogna dai Servizi Segreti che all’epoca avevano anche una sede a Salerno che all’epoca era guidata dal capitano Antonio Salzano, fratello di Aniello (già sindaco di Salerno) che pagò un prezzo altissimo per quella forse dissennata epoca stprico-giudiziaria.
E’ ancora presto per sentenziare quale dei due sistemi (quello di Milano apparentemente meno garantista di quello di Salerno perché incentrato su un solo gip) fosse il migliore o almeno quale abbia prodotto meno danni; anche perché entrambi i sistemi di danni ne hanno fatto parecchi, ma la pubblica amministrazione doveva comunque essere ripulita e quando arrivano questi cataclismi è fatale che qualcuno paghi per colpe che non ha. Bisogna, però tener conto che “Mani Pulite”, da Milano a Salerno, fu un’operazione chirurgica portata avanti da giovani magistrati che erano quasi tutti con tendenze di sinistra e che erano stati allevati nel culto della lotta contro il capitale che allora era saldamente rappresentato dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Socialista. Oggi tutto questo sembra essere stato sotterrato nella notte dei tempi, l’asse di interesse primario si è spostato sui personaggi del centro destra e spesso si percepisce la sgradevole sensazione della presenza almeno di un freno a mano quando si tratta di indagare un personaggio di sinistra piuttosto che uno di destra. Oggi le condizioni di allora si sono ripresentate, forse in misura maggiore, e sempre per colpa di un “Dossier Salerno” che sebbene soltanto virtuale è comunque sotto gli occhi di tutti; ecco perché all’inizio di questo articolo ho scritto che la verità tracima da ogni pezzo di carta depositato nei vari faldoni (dossier !!) custoditi presso la Procura della Repubblica, è una verità scritta che bisogna soltanto metterla insieme come un puzzle per arrivare alla verità che, badate bene, può anche dirci che il “sistema Salerno” non esiste, ma almeno bisogna provarci con un pacchetto complessivo e per singole diramazioni. Questa che sto scrivendo è semplicemente un’inchiesta giornalistica che, con tutte le sue slabbrature, intende offrire uno spaccato quanto più credibile possibile della situazione attuale, partendo da lontano.
Voglio iniziare da un’affermazione pubblica resa in aula, nel corso dell’udienza del 26 gennaio 2016, dall’avvocato Arnaldo Franco (valente penalista e difensore di Alberto Di Lorenzo, coimputato con De Luca) nel processo del famoso “project manager” legato al termovalorizzatore che è costato a De Luca una condanna in primo grado; affermazione che se ben analizzata potrebbe svelare tutti i misteri del “sistema Salerno”. Quel giorno, mancavano undici giorni alla sentenza di assoluzione del 5 febbraio, l‘avvocato Franco parlando di “accuse fondate su un castello fiabesco” e insinuando il dubbio che il pm Roberto Penna avesse fatto “uso strumentale di un inglesismo” disse: “… la mia sarà una difesa karakiri ma credo che forse più che motivare la nomina del mio assistito a project manager si doveva contestare il perché Criscuolo sia stato dimesso dal suo incarico dopo pochi giorni …”.
E’ una frase importante, quella di Arnaldo Franco, che potrebbe anche essere letta come un tentativo di delegittimazione della credibilità sia di singoli tecnici sia dell’intero ufficio tecnico comunale che, di certo, lo stesso Vincenzo De Luca non ha tutelato (leggasi intercettazioni in riferimento all’ing. Antonio Ragusa). Perché ? Perché soltanto così si allontana ogni tipo di responsabilità dalla figura del suo assistito (Alberto Di Lorenzo) e indirettamente anche dall’ex sindaco e attuale governatore e si lascia passare il presunto concetto che tutto (se di tutto si tratta) possa essere avvenuto per responsabilità di scelte tecniche fatte nella massima autonomia. Parliamoci con franchezza, se da un lato il legame cioè il “nesso causale” che possa chiamare in causa Vincenzo De Luca forse non esiste, dall’altro lato è anche noto che non solo l’ufficio tecnico, ma anche tutti gli altri uffici del Comune, nulla hanno potuto mai decidere in piena autonomia; e questo lo vedremo nel corso di questa inchiesta. Per il momento devo soffermarmi sul processo “project manager” e ripetere che la frase dell’avv. Franco può anche ingenerare il dubbio sulle vere motivazioni del trasferimento di Lorenzo Criscuolo alla Provincia. Difatti ho già avuto modo di scrivere che “Naturalmente la stampa distratta non ha dato il giusto peso a queste parole di Arnaldo Franco, parole che sono affilatissime ed hanno tutto il sapore della vendetta e, forse, il colore dell’inizio di uno strappo tra il suo assistito ed il capo supremo. Ha ragione Franco, questo è stato uno dei punti deboli dell’inchiesta preliminare, un punto che però può essere letto in due modi completamente diversi. Da un lato si potrebbe supporre di un malizioso accordo tra Criscuolo (allora capo dell’ufficio tecnico comunale) e il presidente della Provincia Edmondo Cirielli per scippare il termovalorizzatore a De Luca; dall’altro si può anche pensare e supporre di una pressione incalzante su Criscuolo per chissà quale procedura tecnico-amministrativa da forzare, pressione che Criscuolo non avrebbe accettato passando, per disperazione, alla Provincia”. Se ci atteniamo ai fatti verifichiamo che il progetto del termovalorizzatore era già approvato quando Criscuolo è arrivato in Provincia, e si tratta di un progetto diverso da quello del Comune. E allora gentile avv. Franco a che scopo affermare cose inesatte ? Difendiamo Alberto Di Lorenzo, difendiamo il sistema o entrambe le cose ? Mi risulterebbe difficile pensare che all’avv. Franco sia sfuggito un particolare così importante, dunque la sua dichiarazione in aula potrebbe anche assumere la dignità di un messaggio molto forte a tutela del “sistema Salerno”. I singoli processi, diceva un giurista del passato, servono a volte per sviare la possibile individuazione delle responsabilità politiche e dei sistemi di potere e per chiudere ogni porta di accesso verso la verità. Una verità, ripeto, che è scritta negli atti delle molteplici inchieste e che, in assenza di un coordinamento ben preciso, sfugge ai singoli pm intenti al lavoro sulle proprie inchieste. Ecco allora, se si legge tutto o quasi, apparire sullo sfondo l’apparato di potere che opera, a seconda dei casi, con diversi canali e soggetti a seconda dei casi. Quasi come quando si suona la chitarra, le corde sono cinque, le musiche sono diverse a seconda di come le pizzichi; ma le dita, naturalmente, sono sempre le stesse. I soggetti e i canali si conoscono benissimo, sono negli atti !!, è sufficiente seguire il percorso del denaro e, come Pollicino, si arriverà all’obiettivo. A questo punto, qualche volenteroso e valente magistrato potrebbe iniziare dalle domande che ho posto a conclusione del precedente articolo, soprattutto le ultime tre: 8) Chi e quanti risultano di fatto i beneficiari di pagamenti del denaro pubblico in funzione degli espropri; 9) A chi sono andati i soldi del mega progetto del termovalorizzatore che la Provincia ridimensionò approvandone uno completamente diverso; 10) A chi sono andati i soldi dei sondaggi archeologici esperiti dalla Soprintendenza con l’intervento di un noto geologo salernitano ed eseguiti da ditte forse mai sufficientemente verificate. Seguire quei flussi potrebbe voler dire espugnare il fortino in cui sono rintanati gli esponenti del sistema di potere che si distingue in apparato operativo e in quello politico-imprenditoriale che non ha minori responsabilità e si mischia con i tesseramenti, con le primarie, con le parlamentarie, ecc. (dell’uno e dell’altro fronte) che hanno originato almeno quattro diverse inchieste (spesso confuse dalla stampa in una soltanto) affidate ad altrettanti diversi magistrati. Ma questa sarà materia per i prossimi articoli.