Dossier Salerno/4: la nascita del potere e le prime tracce del cambiamento

Aldo Bianchini

SALERNO – In ogni “sistema di potere” degno di questo nome c’è sempre una modulazione nell’oggettivo cambiamento che è senza dubbio connaturato allo stesso esercizio del potere. “Il potere logora chi non ce l’ha”; è questo, senza alcun dubbio, l’aforisma più celebre fra quelli di Giulio Andreotti. Anche se la frase non è sua, bensì, sentenziano gli storici, del celebre politico e diplomatico francese del Settecento, Charles Maurice de Tayllerand. Un paio di secoli dopo Andreotti la ripropone e da quel momento, imprecisato per la verità, la frase diventa sua. E diventa un frase-aforisma che meglio di ogni altra cosa rappresenta in maniera plastica la nascita, lo sviluppo, la crescita, le deviazioni e la fine del potere quando viene esercitato in maniera assolutistica, quasi dittatoriale. Il potere di Vincenzo De Luca, ad esempio, è nato nel lontano 1993 probabilmente quando, nel periodo compreso tra il mese di marzo e quello di maggio, ci fu una riunione a tre (Carmelo Conte, Paolo Del Mese e Vincenzo De Luca) in casa dell’ex ministro dove i tre si erano incontrati per le condoglianze in seguito alla morte della mamma di Conte, qualcuno afferma che quella riunione fu del tutto casuale e dovuta ad un evento luttuoso che aveva investito la casa e la vita dell’ex ministro; io personalmente non ho mai creduto a questa versione di quello che all’epoca appariva come una vera e propria manovra verticistica di potere e, soprattutto, di contrasto contro l’incalzante tempesta di tangentopoli. Probabilmente in quella occasione fu deciso di affidare il mandato di sindaco a De Luca anche al fine (così raccontano le cronache !!) di rallentare l’azione furente della magistratura; quell’accordo venne poi sacralizzato la notte tra il 22 e il 23 maggio 1993 con l’elezione, per un solo voto, di De Luca a sindaco di Salerno. Ma anche per quella sacralizzazione la storia registrò una drammatica battaglia intestina alla stessa triarchia del potere che portò il consiglio comunale del 22 maggio 1993 (programmato per le ore 18.00) a durare fino alle ore piccole della notte e della mattina successiva e con l’annuncio del nominativo del nuovo sindaco (Vincenzo De Luca, ndr !!) appena qualche minuto prima della mezzanotte. La battaglia si svolse tutta tra Carmelo Conte e Paolo Del Mese che cercavano di capitalizzare, ognuno per conto suo, quanto più potere possibile nel nuovo consiglio comunale sotto lo sguardo irriverente e malizioso di De Luca il quale, verosimilmente, aveva già una sua strategia personale che alla fine risulterà vincente. Ma due ore prima dell’inizio di quel fatidico consiglio comunale, esattamente alle ore 16.00, accadde qualcosa di serio sul piano giudiziario, un qualcosa che è venuto alla luce soltanto qualche anno dopo: questo è potere !! Alle 16.00 di quel pomeriggio la scena si svolse negli uffici della Procura della Repubblica di Salerno;

i due pm Luigi D’Alessio e Vito Di Nicola avevano messo sotto torchio uno dei più noti imprenditori salernitani, Vincenzo Ritonnaro, per la questione delle possibili tangenti al Partito Comunista. Un interrogatorio lungo 26 pagine, nelle ultime due la grossa: “”In buona sostanza io averi dovuto, tra progettazione e sponsor aggio, pagare circa 20milioni di lire e ne ho pagato circa 60. Mi risulta che anteriormente all’aggiudicazione della gara il presidente della capo-fila Giovanni Donigaglia (denominato “gamba di legno”) venne in Salerno ove io stesso lo accompagnai presso la segreteria dell’allora Partito Comunista in Via Manzo. Rimasi sotto la sede ad attendere mentre lui saliva alla sede del partito. Non mi riferì il motivo per il quale si recò presso tale sede né io lo approfondii …””. Insomma alle ore 16.00 è Ritonnaro che parla di tangenti e i magistrati sanno benissimo che alle 18.00 sarebbe cominciato il Consiglio Comunale con la probabilissima elezione di De Luca, e forse sanno anche che la loro azione avrebbe potuto sconvolgere tutto; dato che in quell’epoca le convocazioni in Procura avvenivano a raffica e ad horas probabilmente sarebbe stata sufficiente

la semplice convocazione di De Luca (all’epoca segretario del PCI) per far saltare il banco ed anche ogni tipo di accordo politico di potere; ma anche se lo avessero fatto nei giorni successivi sarebbe successa la fine del mondo. Invece niente di niente e questi singoli e apparentemente separati episodi è stato possibile metterli insieme ad incastro soltanto qualche anno dopo il 1993. Non ci sono, e non ci saranno mai, prove concrete in grado di confermare che forse quella sera a casa di Conte l’astuto Vincenzo De Luca capì che quella era la sua grande occasione e che presto poteva farli fuori entrambi, così come accadde di lì a qualche mese con l’arrivo di altre inchieste tumultuose, passando per l’arresto immotivato di Vincenzo Giordano la sera del 31 maggio 1993, dopo che lo stesso ex sindaco era stato a casa Conte che voleva convincerlo a recedere dalle dimissioni, ed era stato avvertito da De Luca dell’imminente arresto che lui sperava di evitare appunto con la reiterazione delle dimissioni. Nasce così l’epopea e il mito di Vincenzo De Luca che da quel momento non presterà più il fianco a nessun rapporto di amicizia reale con i due grandi avversari politici, salvo a ripescare Paolo Del Mese una decina di anni dopo per motivi da ricercare tutti nel crac del “gruppo Amato Pastificio” che continua, ancora oggi, a sconvolgere la cronaca giudiziaria e la vita personale di tante persone.

De Luca, nel 93, preferì dimettersi nei primi giorni di luglio per poter essere rieletto il 5 dicembre 1993, dopo il ballottaggio con Pino Acocella e dopo che la sera del 3 dicembre aveva richiamato a se, nell’Hotel La Lucertola di Vietri sul Mare, tutte le forze imprenditoriali della Città che furbescamente e lestamente mollarono le cordate di appartenenza (Conte e Del Mese) divenendo “gole profonde di tangentopoli” in danno della classe dirigente caduta in disgrazia e sostenendo saldamente e convintamente il nuovo astro nascente. E Vincenzo De Luca, diciamocelo con chiarezza, ha saputo esercitare nel migliore dei modi quel potere insinuandosi in tutti gli spazi lasciati vuoti, loro malgrado, da tutti quelli che vennero investiti a torto o ragione dalla tempesta di tangentopoli; quelli intorno a lui sono spesso caduti nell’oblio del non corretto esercizio del potere e sono stati subito e brutalmente buttati fuori da quello che oggi si chiama “il cerchio magico” che circonda ogni uomo di potere. Il primo mandato da sindaco, dal 1993 al 1997, è stato comunque un eccellente periodo organizzativo anche dal punto di vista delle idee progettuali e di raccolta di tutti quei talenti o semplici volenterosi che erano rimasti nudi e senza una guida illuminante o un punto di riferimento in quegli anni in cui doveva essere rifatto tutto, compreso la città e la sua urbanistica,

sotto l’impulso del mitico catalano Oriol Bohigas, delle sue APU e dell’Ufficio di Piano all’uopo organizzato e con a capo l’ingegnere Ercole di Filippo, amico caro dell’urbanista spagnolo. Il sistema sembra funzionare alla perfezione e soltanto in favore della città; tecnici, amministratori, collaboratori accorrono da ogni parte della città per prendere parte al “nuovo e interessante disegno politico progettuale” di Vincenzo De Luca. Presto, però, in tanti si accorgono che qualcosa comincia a tracimare da quel solco che direttamente il capo aveva imposto a tutti ed anche a se stesso. Come già scritto ci furono momenti di grande esaltazione collettiva, tutti credevano nella originalità e nella trasparenza di quel disegno e dedicavano tutte le loro energie lavorando notte e giorno, ben al di là dei normali orari di lavoro. Del resto il capo è sempre schierato in prima linea e si sacrifica più di tutti gli altri nell’esecuzione di un lavoro massacrante che, a volte, impegna giorni e notti consecutivamente.

 

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