Dossier Salerno/33: i servizi segreti e … il complotto a rovescio !!

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Nel precedente capitolo di questa lunga storia del “Dossier Salerno” ho cercato di descrivere l’azione che i Servizi Segreti avrebbero svolto sull’intero territorio della provincia di Salerno e sulla città di Salerno in particolare. Ovvero ho cercato di accreditare un “complotto politico giudiziario” contro il sistema di potere messo in piedi dai due uomini politici più forti di quel momento storico: Carmelo Conte e Paolo Del Mese; un complotto che anche se involontariamente e casualmente ha, comunque, prodotto l’azzeramento di quel sistema e la nascita di un altro sistema che tuttora governa la città di Salerno e l’intera provincia.

Ho incominciato a curare la “cronaca giudiziaria” fin dalla primavera del 1991 ed ho attentamente seguito tutte le complicate fasi della tangentopoli salernitana scoppiata nella primavera del 1992 con il sequestro degli uffici tecnici degli ingegneri Franco Amatucci e Raffaele Galdi (denominati “i due compassi d’oro”), avvenimento che ho ampiamente descritto nel corso di questa lunga ricostruzione dei fatti. La materia dei “servizi segreti” mi ha sempre coinvolto emotivamente ed appassionato professionalmente. Sull’onda di questa spinta interiore e sulla base dell’acquisita esperienza in materia (avevo seguito udienza dopo udienza l’intero processo Fondovalle Calore -tra il 93 e il 94- e ne avevo trasmesso moltissime udienze sulle frequenze di TV/Oggi che dirigevo) subito dopo il gennaio del 1995 (epoca in cui avevo assunto la direzione di Quarta Rete Tv) incominciai a preparare tre speciali televisivi denominati “I servizi segreti e la loro azione” (atto I, II e III).

Naturalmente preparai, nel tempo e in ordine di numerazione, i tre speciali impiegando molto tempo e dedicandomi con cura al montaggio degli stessi, con palesi lungaggini nella ricerca di tutti gli elementi di prova, con una voce narrante (la mia) che accompagnava le immagini e le interviste che componevano detti speciali. Tutte le notizie contenute negli speciali erano basate su fatti di dominio pubblico, sugli esiti di inchieste giudiziarie (pm Marcello Rescigno) e sulle dichiarazioni depositate agli atti del “Processo California” dai vari testimoni che si stavano susseguendo lungo l’iter processuale. L’ultimo speciale televisivo andò in onda nell’inverno tra il 1996 e il 1997 e fu più volte replicato su specifica richiesta di molti telespettatori, anzi verso la fine dell’invero e in prossimità della primavera 1997 dai tre speciali ne ricavai uno abbastanza lungo che racchiudeva tutti i fatti oggetto delle tre puntate precedenti. Alla fine delle varie programmazioni di quei tre speciali (+ riepilogo), che avevano riscosso ampio successo in termini di ascolto con notevole consenso da parte dell’opinione pubblica, non avrei mai immaginato che sulla mia testa si sarebbe scatenata una vera e propria battaglia di natura giudiziaria fondata sul nulla, anche perché il contenuto dei tre speciali era stato costruito giornalisticamente su fatti e circostanze inconfutabili.


Il lungo periodo dei processi di tangentopoli (iniziato con la Fondovalle Calore nel novembre del 1993 e conclusosi nei primi anni del 2000) manteneva sulla città una cappa di diffidenza, di veleni, di delazioni, di intercettazioni, di vendette personali; significativa tra le tante l’assoluzione di molti amministratori (Andrea De Simone, Franco Brusco e Ugo Carpinelli) dell’Ente Provincia a guida di Andrea De Simone per una “gita a Maracaibo”, l’inchiesta nacque da una denuncia in sede civile dell’agenzia di viaggi Cridan di Cava de’ Tirreni al fine di recuperare dalla Provincia l’importo di 6milioni di lire mai pagati su un totale di 30milioni (costo della presunta gita); i magistrati civili Paolo Scarano, Massimo Palombo e Vincenzo Siani si accorsero che il caso poteva dare luogo a ipotesi di reati penali e lo passarono alla Procura della Repubblica. L’assoluzione arrivò oltre dieci anni dopo i fatti, esattamente il 6 marzo 2003; proprio in quei giorni venne registrata la 84^ assoluzione dell’ex sindaco di Laviano Salvatore Torsiello (che poi arriverà a 105) e il flusso continuo di assoluzioni “perché il fatto non sussiste” indusse Paolo Carbone (tra i migliori avvocati penalisti di sempre) a scrivere su Il Mattino che “L’assoluzione a seguito di un regolare dibattimento e la sentenza di non luogo a procedere come fatto conclusivo dell’udienza preliminare appartengono alla fisiologia del processo penale. Sono i due momenti di garanzia costituzionale e processuale che esaltano , rispetto alla contrapposta dialettica delle parti (PM  e difesa), la imparzialità e la terzietà del giudice. Il caso dell’ex sindaco di Laviano, prosciolto ottantaquattro volte in altrettanti procedimenti , va letto nel segno di evidenti anomalie, a conferma del malessere della giustizia e dell’assurda realtà delle nostre aule giudiziarie, nelle quali tante volte le garanzie formalio sono brutalmente sopraffatte da prassi deviate, con il codicillo di scoop da mostro in prima pagina ed arresti che si risolvono con sospetti pentimenti o chiamate di correo”.

Queste affermazioni lette tredici anni dopo appaiono come la spiegazione più corretta del clima che la città, nel suo complesso, aveva vissuto (e forse vive ancora !!) a causa della tangentopoli salernitana. Un clima di forti tensioni in cui sguazzavano a loro piacimento gli agenti dei “servizi segreti” che molto verosimilmente inquinarono vicende chiare e schiarirono vicende nebulose e fosche. Il potere dei servizi si infilò anche nel palazzo di giustizia andando ad insinuarsi nei vari fascicoli processuali per deviarne il loro corso legittimo; insomma un vero e proprio “complotto politico-giudiziario” in piena regola che registrò molte spinte collusive tra i vari organi delle istituzioni per pilotare i processi e inquinare le prove.

Le inchieste che scottavano erano a rischio e il 10 gennaio 1994 il gip Claudio Tringali (oggi presidente di sezione della Corte di Appello) denunciò pubblicamente: “Declino ogni responsabilità per la gestione del mio ufficio gip del tribunale a causa delle prolungate, ripetute, assenze della mia assistente non sostituita, che provocano ritardi, paralisi, e la nullità degli atti. Denunzio la disamministrazione del servizio gip e la scarsa professionalità. Chiedo adeguati e solleciti interventi”. Una denuncia gravissima che fece, comunque, pensare alla presenza di soggetti che portavano avanti una infernale macchinazione utile a distruggere un potere per favorirne l’ascesa di un altro; nel mezzo la magistratura resa, in certe fasi, quasi inerme ed impossibilitata ad allargare le inchieste a 360° come forse era giusto fare per assicurare la massima giustizia possibile. Alla fine la giustizia soccombe sotto il peso di centinaia di fascicoli, di migliaia di atti e di milioni di fogli di carta da leggere e studiare attentamente; il crollo fu inevitabile. Da quel momento in città le voci si accavallano, una più contraddittoria dell’altra, almeno fino alla mattina di domenica 30 gennaio 1994 quando sulla stampa  locale (Il Mattino, ndr!!) apparve un titolo inquietante: “L’ombra dei servizi su Salerno”. Nelle cinque colonne dell’articolo si parlava di tutto: di politici e di giornalisti, ma anche e soprattutto di servizi segreti. L’anonimo articolista, reiterando un passaggio dell’interrogazione parlamentare del senatore Luigi Compagna, chiede come era stato possibile infiltrarsi nelle fila di un partito e con quali uomini delle istituzioni era stato possibile operare in collegamento informativo e operativo. Si ipotizzava, quindi, in maniera pubblica un’azione coordinata tra informazione, servizi e uomini delle istituzioni, ma il tutto, come sempre, rimase solo e soltanto un’ipotesi, inquietante quanto si vuole, ma un’ipotesi mai suffragata da prove conclamate e riscontri oggettivi, anche perché le devastanti rivelazioni sempre annunciate e mai rese pubbliche da due ex big della politica nostrana, rimasero allo stato di puri e semplici messaggi pronunciati in codice criptato. Una cosa soltanto è diventata di provata certezza negli anni successivi; il 2 luglio 1993 subito dopo le dimissioni di Vincenzo De Luca (era stato eletto sindaco dal consiglio comunale il 22 maggio precedente) arrivò a Salerno il commissario prefettizio dr. Antonio Lattarulo; per gestire la transizione tra la caduta e l’arresto di Vincenzo Giordano e le nuove elezioni (tenutesi poi nel novembre successivo) o per preparare il terreno al nuovo “sistema di potere” ? Diversi anni dopo il 2 luglio 1993 il dr. Lattarulo fu indagato per sospetta appartenenza ai servizi segreti deviati; si seppe così che la sua azione era stata probabilmente deviante al servizio di qualcuno sicuramente più potente di Conte e Del Mese. E di chi ? Nessuno ha mai risposto.

Questo era il clima surreale che avvolgeva la città e le sue istituzioni fino a toccare le redazioni giornalistiche dell’epoca; ed in questo clima maturò una vicenda incredibile e paradossale con l’attore principale che si spacciava come “agente dei servizi segreti” e che cercò in tutti i modi di accreditare un “complotto a rovescio”, cioè di una ricostruzione delle vicende giudiziarie in maniera distorta e favorevole ai presunti colpevoli. Al centro di questa manovra eversiva il presunto agente inserì la mia persona e la mia azione giornalistica che si andava dipanando pubblicamente soprattutto con i tre speciali televisivi dedicati ai “Servizi segreti e la loro azione”. Probabilmente con quei tre speciali avevo toccato, inconsapevolmente, le corde deboli del “complotto politico-giudiziario” che aveva rovesciato in poche battute un sistema di potere che resisteva da almeno due decenni. Tutto avvenne, ovviamente, a mia insaputa fino a quando un giorno presi forzatamente coscienza di quanto stava accadendo alle mie spalle.

La cronaca: Il giorno della mia presa di coscienza del “complotto a rovescio” è databile al 4 giugno 1997 quando fui convocato in Procura e fui sottoposto ad un lungo ed estenuante interrogatorio da parte dell’allora pm Ennio Bonadies. Dovetti spiegare come, quando e sulla base di quali fonti di notizie avevo confezionato i tre speciali televisivi e quali erano i miei rapporti con i parlamentari Carmelo Conte e Paolo Del Mese; dovetti fornire notizie sui due ingegneri Raffaele Galdi e Franco Amatucci, sull’imprenditore Vincenzo Ritonnaro, sui magistrati Michelangelo Russo – Vito Di Nicola e Luigi D’Alessio, sul consigliere regionale Salvatore Aversano, sul Secit e sull’esistenza di un tale Nicolò Pollari (generale della Guardia di Finanza ed ex capo del Sismi – quello che di recente è stato assolto dalla Cassazione in data 24.02.14 dopo una condanna in appello a dieci anni di carcere per la vicenda di Abu Omar), sull’imprenditore Alberto Schiavo, sui presunti camorristi Cosimo D’Andrea e Giovanni Maiale ed infine sui movimenti salernitani di un tale G.M. conosciuto come un probabile agente speciale dei servizi segreti. Mi vennero richieste notizie specifiche anche sul mio editore avv. Leonardo Calabrese che era, al tempo, il proprietario dell’emittente televisiva che io dirigevo.

Non diedi eccessivo peso all’accaduto, quelli erano tempi in cui spesso i giornalisti venivano convocati in Procura; mi allarmai, però, quando nel corso del pomeriggio del 10 aprile 1998 (dieci mesi dopo la mia convocazione in Procura) giunse nella sede della televisione in Capezzano un ufficiale di polizia giudiziaria per sottoporre a sequestro le bobine dei tre speciali televisivi; l’attenzione dell’ufficiale si incentrò soprattutto sulla terza puntata di quell’inchiesta. Come detto mi preoccupai perché due giorni prima (l’8 aprile 1998) ero stato telefonicamente avvertito dal sig. Enzo Pellegrino (autore e conduttore di una trasmissione televisiva su Quarta Rete) che il giorno prima era stato avvicinato da un tale sig. G.M. il quale mi inviava un preciso messaggio: “Se volevo la verità sapevo dove trovarlo”, anzi che sarebbe venuto da me in televisione. Dato che dalla polizia giudiziaria avevo appreso che il sequestro era stato richiesto proprio dal fantomatico agente dei servizi (G.M.), del quale mi fece una rapida descrizione, mi preoccupai ancora di più. Difatti la sera stessa del sequestro mentre rincasavo avevo avvertito la presenza, sul marciapiedi di fronte, di un signore che rispondeva alla descrizione fattami dalla p.g. in televisione; probabilmente fui anche fotografato. Pertanto il giorno 11 aprile 1998, dopo aver partecipato alle esequie dell’ex sindaco Alfonso Menna, provvidi a denunciare i fatti per iscritto direttamente alla pm Rosa Volpe che aveva tecnicamente disposto il sequestro delle cassette.

Il 14 novembre 1998 fui convocato presso la sezione PG del tribunale per essere interrogato sulle misteriose vicende, mi avvalsi della facoltà di non rispondere.

Nel febbraio del 1999 fui addirittura diffidato dal sedicente agente dei servizi di non interessarmi più dell’azione degli stessi servizi a Salerno.

Della vicenda non seppi più nulla per alcuni anni; fino a quando nel giugno del 2002 ebbi conoscenza di una relazione di 25 pagine inviata dal presunto agente direttamente alla Procura; con la relazione l’agente dei servizi poneva  al centro del suo interesse la mia persona responsabile di vari reati del tipo: “Fin dal 1992 conseguentemente a determinate inchieste aperte dalla magistratura salernitana, alcuni personaggi politicamente legati all’ex area contiana, hanno cercato di disegnare scenari depistanti, ricorrendo a vecchi e nuovi fidati amici, determinando il gico di pressioni e di ricatti finemente esercitati da personaggi come Enrico Zambrotti, Edoardo Bruscaglin, Salvatore Aversano, Aldo Bianchini, Carmelo Conte e numerose altre persone. Esiste ancora oggi un chiaro interesse del gruppo che fa capo alla corrente politica di Carmelo Conte a pilotare interventi depistanti finalizzati ad alleggerire il peso delle inchieste e dei processi che si stanno svolgendo a carico dei rappresentanti del vetusto PSI salernitano. Come ho già detto fin dal 1997, innanzi al pm Ennio Bonadies, non si tratta più di violare unicamente le vigenti leggi sulla privacy, sulla diffamazione, la violazione del segreto istruttorio, la divulgazione di notizie false, ma, piuttosto, della messa in opera di un piano premeditato finalizzato ad ottenere precisi risultati giudiziari e, forse, politici. Ancora oggi gli interessi dei principali imputati in processi penali come quello denominato “California” o come quello sul sistema di tangenti impiantato da Enrico Zambrotti, attraverso la società “Infomer” ed “Infogest”, determinano un sofisticato gioco di pressioni del quale Aldo Bianchini, come detto, è stato ed è ancora parte integrante, contestualmente ad altre persone che mi appresto ad indicare alla Vs attenzione …. Risulta ormai chiara l’esistenza di un’unica regia occulta che si ripropone ciclicamente fin dal 1992 e che lega insieme interessi di più persone unite dall’unico obiettivo più volte rappresentato dal sottoscritto: il complotto a rovescio”.

Vi risparmio il resto della farneticante relazione che è datata 11 giugno 2002; una relazione che, però, mi fece capire che il cerchio era stato ben costruito e si stava stringendo in modo tale da far pensare ad un “complotto a rovescio” rispetto al complotto politico-giudiziario che da anni andavo pubblicizzando attraverso le mie inchieste televisive. La cosa più inquietante fu che a quella relazione erano state allegate numerose fatture, per alcune decine di milioni di lire, che dimostravano l’azione dell’agente segreto nel salernitano.

Incredibile l’iter che ne seguì ed alla fine il pm Rosa Volpe chiese il mio rinvio a giudizio che venne discusso dinanzi al gup Vittorio Perillo il giorno 29 aprile 2003.

Ricordo bene la tensione di quella mattina, si tagliava a fette, tutti erano forse preoccupati che se avessi ammesso le mie inesistenti responsabilità si correva il rischio di una rinnovazione anche dei processi già conclusi con le assoluzioni.

Le domande del gup Perillo furono tecnicamente ficcanti e dalle mie sicure risposte venne fuori semplicemente la verità: avevo sempre e scrupolosamente raccontato fatti di dominio pubblico e giudiziario; nessun piano eversivo era stato messo in atto.

Assolto perché il fatto non sussiste”, questo il verdetto del gup Vittorio Perillo; finiva così un’inchiesta durata ben sei anni.

Da tredici anni rifletto spesso sull’incredibile e parossistica vicenda del “complotto a rovescio” che fu probabilmente innestato anche, se non soprattutto, per allontanare gli addetti ai lavori dalla vera azione che i servizi avevano attuato sul territorio e nella politica salernitana.

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