NEUROCHIRURGIA: Luciano Brigante si dimette dal “Ruggi”… e la giustizia ?

Aldo Bianchini

SALERNO – Ha semplicemente richiuso la porta alle sue spalle ed è andato via in forza di una sicura grande professionalità che gli consentirà nuovi ed importanti successi. Questa è l’ennesima dimostrazione di innata signorilità che ha contraddistinto da sempre (almeno dal mese di maggio del 2015) l’atteggiamento pubblico del noto neurochirurgo Luciano Brigante. Al suo posto io quella porta l’avrei violentemente sbattuta ed avrei anche mandato a quel paese tutti i colleghi dell’ospedale Ruggi, i vertici dell’azienda ospedaliera, i giornalisti e, perché no, anche i magistrati ed il loro modo di amministrare la giustizia con fare lento, esasperante, farraginoso e frequentemente incomprensibile.

         Probabilmente Luciano Brigante con il suo gesto, molto corretto sul piano professionale e stupendo su quello umano e personale, ha inteso rimarcare proprio questa insipienza della giustizia e della stampa che in pochi minuti ti sbattono in prima pagina e poi … chi si è visto si è visto. Tanto la verità sull’essere innocente o colpevole non interessa più a nessuno; il necessario è aver assistito alla gogna mediatica ed a come si sbatte un mostro in prima pagina.

         Due anni fa il notissimo professionista fu coinvolto nel cosiddetto “scandalo delle mazzette per le liste di attesa” insieme ad altri tre valentissimi medici-chirurghi: Renato Saponiero, Gaetano Liberti e Takanori Fukushima. Proprio quest’ultimo secondo le accuse mosse dal pm Carmine Olivieri (Procura di Salerno) era il punto di riferimento apicale per una truffa messa in piedi sulla salute della povera gente con richieste di denaro in nero per driblare i tempi delle famigerate liste di attesa che in astratto sono da equiparare all’obbligatorietà dell’azione penale, ovvero il solito escamotage all’italiana per fare questo anziché quello e/o per procurarsi illeciti arricchimenti. La sospensione per Brigante e per il collega Saponiero (entrambi in servizio presso l’azienda ospedaliera universitaria Ruggi) fu conseguenzialmente irrorata con il principio dell’atto dovuto che spesso nasconde rivendicazioni personali, vecchi rancori o lotte di potere.

         Su questa vicenda ho scritto tantissimo e spesso ho cercato di stimolare la stampa locale a sereni e coscienziosi approfondimenti; cosa che ripeto anche oggi all’indomani di un atto di grande correttezza professionale messo in campo dal dr. Brigante con le sue volontarie dimissioni; non credo che accadrà, anche se la speranza pur essendo vana è l’ultima a morire.

         Dunque Luciano Brigante va via, con dignità e fermezza, senza aver avuto la possibilità di difendersi nelle sedi più opportune contro la veemenza delle accuse a tutela della sua dignità personale e familiare; i tempi della giustizia sono drammaticamente lunghi e finiscono sempre per calpestare ogni stato di diritto per assistere, alla fine, ad assoluzioni o condanne che non servono più a niente, neppure alla giustizia che non è mai giusta perché arriva sempre tardi ed è fatta sempre male. Da cittadino, prima ancora che da giornalista, non vorrei assistere per l’ennesima volta al fatto che un personaggio viene violentemente indagato, va via sotto la spinta emotiva per conquistare nuovi successi e,  dopo tanti anni, sentir dire addirittura che era innocente dalle accuse che ne avevano provocato la sua corsa verso altri lidi più sicuri ed appaganti. Dovremmo vergognarci tutti se questo accadrà anche nel caso del neurochirurgo Brigante che è stato, per l’azienda ospedaliera universitaria salernitana, come un faro di luce accecante che aveva rilanciato l’immagine stessa dell’azienda a livello nazionale ed internazionale del settore. Per queste ragioni capisco, ma non condivido, la presa di posizione del neurochirurgo; l’abbandono non è mai un fatto positivo, soprattutto se ispirato da complicati e cervellotici consigli legali diretti alla composizione attenuata della inquietante vicenda. Le dimissioni dall’incarico di “direttore facente funzioni” del reparto di neurochirurgia e, quindi, da dipendente dell’azienda ospedaliera pubblica non risolvono il problema di fondo che è e rimane quello  dell’impotenza di fronte al “terrorismo mediatico-giudiziario” che non è mai né deontologico e neppure doveroso diritto di informare.

         Voglio soltanto ricordare ai meno attenti che tra il mese di marzo e quello di maggio del 2015 scrissi i primi due articoli su Luciano Brigante. Scrissi quello di marzo mentre mi trovavo ricoverato in cardiochirurgia per miei problemi fisici e lo scrissi sull’onda della notizia che serpeggiava tra le corsie; una notizia che accreditava al dott. Brigante un brillantissimo intervento chirurgico (insieme a Fukushima) portato a termine in quelle ore ma di cui stranamente nessuno parlava: invidia, malessere ambientale, vendette personali, o latro ? Da quel momento me lo sono sempre chiesto ed a quel fatto diedi la giusta valutazione in forza di un clima ambientale (quello del Ruggi) che è tuttora ancorato a baronati ereditari ed a clientelismo politico esuberante; rimanendo in quell’ospedale per qualche tempo capii tutte le difficoltà che un giovane e valente chirurgo (ma anche un semplice medico) incontra quando vuole andare contro la stratificazione del potere sanitario connesso a quello della politica nel segno del rinnovamento e del miglioramento. Da queste convinzioni presi le mosse per difendere, a più riprese, lo stato di diritto del dr. Brigante che è “innocente fino a sentenza definitiva”.

         Per carità è sempre possibile che Brigante sia colpevole, che Brigante abbia commesso tutte le nefandezze che l’accusa gli ha rovesciato addosso, che Brigante ha amato soltanto i soldi, che Brigante ha esercitato con protervia il suo potere; ma questa è altra storia che non ha nulla a che fare con il dovere sacrosanto (anche della stampa) di assicurare a chiunque il giusto stato di diritto. Il problema enorme è costituito dal fatto che questo stato di diritto lo dovremmo assicurare a tutti in tempi brevi, certi e ravvicinati, altrimenti parleremo sempre di una giustizia che è comunque ingiusta anche, ed a maggior ragione, quando assolve.

         Non conoscevo nel 2015 il dr. Luciano Brigante e non lo conosco oggi; ma la conoscenza non ha mai rappresentato, per me, un freno o una condizione di giudizio di conseguente subalternità.

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