Roberto Racinaro: un uomo lasciato solo

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Ritengo doveroso, e non solo per scrupolo giornalistico, scrivere sulla figura del personaggio “Roberto Racinaro”, filosofo – docente – rettore dell’Unisa, e di come fu bruscamente interrotta la sua parabola ascendente per ritornare, poi, a far capolino nella hit-parade della politica, della cultura e della società che conta con la sua elezione (nel listino bloccato) a consigliere regionale per volere di Ciriaco De Mita che, manco a dirlo, aveva avversato la sua elezione a Rettore nel 1987.

A mio sindacabile giudizio tra le tante considerazioni di sommessa solidarietà verso quello che fu definito “il filosofo rosso” (per la sua ideologia comunista e per i suoi studi filosofici) ho scelto la migliore: “”Ora capisco perché Cristo è morto in croce! … Perché aveva conosciuto gli uomini!… Gli uomini e le donne, i fratelli e le sorelle, … i suoi figli! Quelli che lo osannarono prima e lo tradirono poi. In vita come in morte. Ed oltre la morte. Per generazioni e generazioni. Fino a giungere a noi, ai nostri giorni. Ieri come oggi, oggi come domani. Per sempre tristemente così. Riposa in pace Roberto !!””. La riflessione di Michele Ingenito (già docente Unisa) mi sembra quella più giusta, ed anche più drammatica, per sintetizzare e tramandare ai posteri il dolore e la tragedia che pervasero la vita di un uomo giusto e leale stravolgendone anche la sua intima e personale identità.

La mattina del 2 giugno 1995, proprio nel giorno della Festa della Repubblica, l’allora magnifico rettore in carica Roberto Racinaro venne arrestato insieme ad altre persone per quella che secondo le intenzioni del pm Filippo Spiezia doveva essere la “mamma” di tutte le inchieste giudiziarie di tangentopoli e che, invece, decretò probabilmente la fine di quegli anni paurosi in cui tutto era possibile e tutto era ipotizzabile.

Qualche mese prima di quella fatidica data un personaggio anonimo aveva lasciato dinanzi alle scale della redazione giornalistica di TV/Oggi, che ancora dirigevo, un voluminoso carteggio inerente l’inchiesta sulle mense e sulle residenze universitarie che sarebbero culminate nelle richieste di provvedimenti restrittivi. Il fascicolo era parziale, difatti un’altra metà era stata recapitata al collega Tommaso D’Angelo e, quindi, fu necessaria una concertazione tra noi per venire a capo dell’intero fascicolo di accusa contro il rettore ed alcuni suoi stretti collaboratori (tutti finiti in carcere); anche se anonimo si capiva benissimo che dietro quel fascicolo diviso in due parti c’era qualcuno (un corvo !!) che si nascondeva nei meandri segreti dell’Università e che, forse, era da annoverare tra i più stretti collaboratori del Rettore. Io e Tommaso pubblicammo le notizie insieme ed univocamente; rabbiosa fu la reazione della Procura che dispose la perquisizione delle nostre due redazioni alla ricerca di ulteriori probabili faldoni che non riuscì mai a porre sotto sequestro. Probabilmente, ma in questo non c’è certezza, quella pubblicazione determinò la conclusione più rapide delle indagini preliminari con la con seguente richiesta di arresti in carcere.

Roberto Racinaro fu, poi, assolto in tutte e tre le fasi di giudizio; dedicò la sua vita successiva alla lotta “filosofica e dialettica” contro il cattivo funzionamento della giustizia che lo aveva parzialmente distrutto. Una delle affermazioni del filosofo che, nel tempo, più mi è piaciuta è quella resa al giornalista Andrea Manzi in un’intervista del 23 settembre 2011:  “”Una riflessione in particolare la considero attualissima, ma prima di me, un po’ di anni fa, ne parlò un filosofo che mi è molto caro, Georg Wilhelm Friedrich Hegel: la giustizia spesso si rovescia nel suo contrario. Uno dei mali del nostro tempo, se riflettiamo, è proprio l’eccesso di giustizia””.

E’ vero, spesso la giustizia si rivolta nel suo contrario; e il tutto avviene con una semplicità addirittura scoraggiante e sconvolgente, quasi fosse assolutamente normale accusare – arrestare – rinviare a giudizio per assolvere perché “il fatto non sussiste”; esattamente come è accaduto per Racinaro ma non per Enzo Tortora che, invece, venne assolto “per non ver commesso il fatto”. Quindi nessuna similitudine tra i due casi come ha cercato di far passare nell’immaginario collettivo il filosofo Biagio De Giovanni in un suo rispettabile commento sulla morte di Racinaro.

Oggi tutti si ritrovano sulle barricate del garantismo, ma all’epoca tutti si lanciarono contro il Rettore con un a ferocia mediatica inaudita; anche, se non soprattutto, Il Mattino sul quale all’epoca scriveva Antonio Manzo che oggi, dal suo giornale La Città, reclama silenzio e rispetto per quell’uomo massacrato da tutti.

Perché ? semplicemente perché l’Unisa come ente pubblico rappresentava l’ultimo sacrario del potere occulto di politici, amministratori e questuanti; un sentimento di rivalsa (se non proprio di odio) si riversava sulle varie sfaccettature del potere universitario che qualcuno voleva conservare come un’isola felice in un deserto di squallore e di corruzione. Insomma l’Unisa era l’ultimo ostacolo a quella richiesta di pulizia e di trasparenza che, nella realtà, ci fu soltanto sulla carta e nell’immaginario della gente. Per questi motivi ci fu quell’accanimento giudiziario e mediatico che durò molti mesi e travolse diverse persone insieme al Rettore; la gente avvertiva che tangentopoli stava recitando le sue ultime battute e che quell’inchiesta era, forse, l’ultima occasione di pulizia.

Ma a parte questo va detto che Roberto Racinaro fu lasciato solo dal suo partito in maniera squallida; anzi si sussurrava che più di qualcuno cercò di tenerlo ben fermo nell’arena piena di leoni nell’attesa che lo sbranassero. Fu forte Roberto Racinaro, traeva la forza dalla sua innocenza, era stato verosimilmente ingannato e pagò per tutti.

All’indomani del 2 giugno 1995 non gioimmo soltanto io e Tommaso; eravamo gli unici ad aver letto le carte e sapevamo.

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