SANGUE

 

di Eppe Argentino Mileto

 

ROMA / BUONABITACOLO – Il colore è il suo sapore. Il sudore il gusto. Il movimento la sua natura. E’ fatto di sangue questo sangue. Sa di sangue. Respira il suo stesso sangue. E chi l’ha detto che un fatto di sangue sia brutto, appaia sinistro, sappia di tenebra? E chi l’ha detto poi che le tenebre non vivano di luce?  Che non abbiano una luce propria? Esistono le tenebre? E se esistono, perché tutto si tinge di sangue?

Tutto mi appare di sangue. Tutto mi riconduce al sangue. Questa gente vive e muore di sangue, per fatti di sangue, Si consumano vendette in nome del sangue. Delitti che in realtà restituiscono alla vita, in suo nome. In nome del mio stesso sangue. Del tuo sangue.

E allora brindo con calici di sangue. Bevo il sangue di questa terra. Fino all’ultimo sorso. Qualcuno sulla strada ci ha lasciato il sangue. Fiori ricordano quel sangue.

Sangue le parole di Sabato del Sindaco Guercio, a Buonabitacolo, sangue quelle del Senatore Castiello.

Doveva essere un convegno sullo spopolamento. E’ stato molto di più. E’ stato sangue puro. Sangue le accuse per una terra devastata, stuprata, scempiata, vilipesa, torturata; sangue la disperazione, sangue il lamento di chi ha perduto tutto. Di chi non ha avuto niente. Scorreva il sangue nelle parole di tutti. Il sangue dei giovani. E di genitori. Padri e madri che pulsano sangue sul futuro dei figli. E piangono lacrime di sangue.

E’ andato in scena il sangue, Sabato a Buonabitacolo. Si è consumato un fatto di sangue.  Io l’ho visto, sentito, odorato.

E’ fatta di odori questa terra del Vallo di Diano. Odori di trattori, campi arati, spighe raccolte da millenni, tramonti rosso sangue. Anche il sudore, sì quello che fiorisce sotto le ascelle, in mezzo alle gambe, nell’inguine, sotto i capelli, tra un ninfeo di ghiandole. Anche quello è sangue. Sangue puro. Sangue vivo, vivo, vivo. Come il sangue. C’è qualcosa di più vivo del sangue?

Il sangue di chi non si arrende al sangue. Di chi non beve calici di sopraffazione e sconfitta, di chi non solleva nani e teste mozzate per restituirti un crimine. Ma una speranza. In nome del loro sangue.

E chi l’ha detto che la dannazione sia una bestemmia, che la sconfitta sia amara, che la rassegnazione sia un reato?

Era di scena il sangue. Si parlava di giovani e di futuro, di disgrazie e di cancri da estirpare, di terre malsane e di condanne a morte.

Tutto era sangue. Gli occhi smarriti e senza risposta. La speranza e le strade tracciate. Non è affatto vero che non ci sia speranza alcuna laddove si vive di sangue. Al contrario: il sangue regalava a quella piccola comunità la santità. La santità del futuro.

Donava una certezza: con quel sangue si tinge un lamento, si odono voci, sussurri, grida, residui di un mondo primordiale.

La dannazione, il marchio di Caino, la lettera scarlatta di Buonabitacolo sono una restituzione. Una risorsa, una opportunità: quella di scriverla, la propria storia. Quella di averlo testimoniato, il proprio tempo. Di averci provato, a costo del sangue. Del proprio stesso sangue.

La rivelazione è arrivata in un coro di lamenti che non erano lagni. Al contrario. La soluzione era lì. Davanti agli occhi di tutti.

Sta nell’ abbassare lo sguardo senza chinare la testa. Come i contadini. La speranza è tutta lì: accettare il sangue e non sprecarlo. Solo sputandolo, solo sudandolo, solo bevendolo quelle comunità riusciranno nello loro speranza. Gesti millenari e orgogliosi, il piegarsi senza flettersi, e poi baciare le spighe prima di reciderle con la falce, baciarle prima di ucciderle. Perché è il gesto più nobile, l’amore vero, baciarsi prima di uccidersi. E’ consegnarsi all’eternità.

Memorie fatte di steli, di mani libere e sudate, di calli annosi, memorie di tagli netti e sapienti che non lasciano spazio alcuno all’improvvisazione. Perché sono gesti di sangue.

La forza di quei territori io la vedo fra le strade tutte le volte che mi sposto fra i paesi del Vallo di Diano. Trattori che tagliano la strada.

Un esercito di vanghe, zappe, badili, picconi, falci, forche, rastrelli, che sanno di sangue. E che rientrano al tramonto, Lentamente.

Piano piano. E’ questa la speranza di quelle terre. La loro forza, il loro coraggio, la loro dignità, la loro memoria. Sta tutta lì. Nel sangue.

 

N.B.: la foto di Eppe è tratta da Ondanews.it

 

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