Crimea 1853-56/3. La Russia riabilitata

 

scritto da Luigi Gravagnuolo il 16 Novembre 2022 per Gente e Territorio

 

Puntate precedenti: https://www.genteeterritorio.it/crimea-1853-56-1-una-guerra-santa/ – https://www.genteeterritorio.it/crimea-1853-56-2-la-caduta-di-sebastopoli/

 

La guerra ‘santa’ di Crimea, alla faccia del Vangelo, lasciò sul campo un numero sterminato di morti: circa 260mila Russi distribuiti nei diversi teatri del conflitto, ma il loro numero esatto non si è mai saputo, le autorità militari ne tennero nascosta o distorta la ‘contabilità’ (come ancora oggi fanno…); 50mila Francesi, uno su tre del corpo di spedizione; 20mila Inglesi, idem; e poi Turchi, Piemontesi, Prussiani e di altre nazionalità per un totale di circa 400mila soldati morti! Più del 60% non morì per il fuoco nemico, ma di colera, polmonite, assideramento, diverse patologie allora incurabili, o comunque non curate adeguatamente.

Ad essi vanno aggiunti gli innumerevoli civili, vittime di bombardamenti, pulizie etniche, fame, malattie. Non è perciò azzardato stimare in mezzo milione circa le vittime totali di quella guerra. Devastante!

E, nel suo corso, morì anche lo Zar Nicola I. A gennaio del ‘55 aveva preso una polmonite che aveva sottovalutato, il 2 marzo spirò. Era restato in carica per trent’anni esatti, dal ‘25 al ‘55, gli ultimi dieci sentendosi in guerra col mondo. Da giovane e ad inizio mandato aveva guardato con curiosità e simpatia all’Occidente, all’Inghilterra in particolare. Era stato più volte, ospite d’onore, alle feste di corte, dove aveva fatto strame dei cuori di molte gentildonne, a dire dei gossip dell’epoca. Lady Charlotte Campbell, la più bella della corte, non nascose i suoi sentimenti: “Che creatura amabile! È diabolicamente attraente! Credo sia l’uomo più bello d’Europa!”.

Poi, col tempo, si era incupito, dedicandosi in modo maniacale solo alla politica espansionista del suo Paese ed alle questioni militari. Quanto alla politica considerò che il dispotismo fosse l’unico modo adatto a governare il suo popolo, la sua triade fu ‘ortodossia, autocrazia, patria’. Quanto alle cose militari fu un dilettante allo sbaraglio, ritenne che la quantità di uomini e armi avrebbe sempre avuto la meglio sulla qualità e sulla tecnologia.

A febbraio le sorti della battaglia di Sebastopoli volgevano al peggio e Nicola I ne era ormai consapevole. Provato nel fisico dalla polmonite e nell’animo dalle notizie provenienti dall’amata Crimea, se ne contristò e se ne sentì in colpa. Secondo Anna Tyutcheva, che gli fu vicino a corte negli ultimi anni, quando lo Zar comprese che era giunta l’ora di rendere l’anima a Dio, chiamò a sé il figlio e gli chiese di comunicare ai soldati di Sebastopoli le sue ultime parole: “Ho sempre cercato di fare il meglio per Voi e, dove ho fallito, non è stato per mancanza di buona volontà, ma per mancanza di conoscenza e di intelligenza. Vi chiedo di perdonarmi”.

Con quella sciagurata impresa si era inviso a tutta l’Europa, eppure la regina Vittoria aveva conservato la stima verso la sua persona. Alla notizia della sua morte se ne rammaricò sinceramente. Così annotò nel suo diario personale: “Povero imperatore, egli ha, ahimé, sulla sua coscienza il sangue di molte migliaia di esseri umani, ma un tempo era un grande uomo ed aveva le sue grandi virtù […] Undici anni fa è stato qui, tanto gentile e senza dubbio affascinante e bello. Per qualche anno in seguito è stato pieno di sentimenti di amicizia per noi. Quali possano essere le conseguenze della sua morte, nessuno può prevedere”.

Le conseguenze furono chiare a breve. Gli successe Alessandro II, che gestì la chiusura di quella pagina buia della storia russa. La Grande Madre Patria rischiò seriamente di perdere la Crimea e, con essa Sebastopoli, la sua città gloriosa e sacra, lì dove per la prima volta, nel terzo secolo d.C., si era insediato il cristianesimo: “Sulle rovine della nostra grande armata vi è un paradosso storico, Sebastopoli, la città della gloria russa, non è in territorio russo!” aveva chiosato, sconsolato, un anonimo poeta-soldato dell’armata convinto che, a causa della sconfitta militare, alla Russia sarebbe stata tolta la giurisdizione sulla penisola.

Non fu così. A Parigi, nel Congresso del ‘56 che sancì la fine della guerra, la Crimea fu riconosciuta ancora alla Russia; ai Turchi fu garantito il controllo degli Stretti e del Caucaso; la tutela dell’Armenia, prima nazione cristiana della storia del mondo, passò dai Russi agli alleati. Lo zar Alessandro II riuscì quindi a limitare i danni per il suo Paese. Ciò grazie ad una politica di apertura all’Occidente ed alla sapiente tessitura diplomatica del suo nuovo ministro degli esteri, quel principe Gorčakov che, già ambasciatore di Nicola I presso le cancellerie europee, era stato il portavoce della sua politica aggressiva ed illiberale. Fu bravo Gorčakov, una volta diventato ministro degli esteri sotto Alessandro II: tempo pochi mesi e Francia e Russia si ritrovarono alleate contro Austria e Prussia da una parte e Gran Bretagna dall’altra.

3/continua

 

 

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