Tangentopoli (91): l’uccisione del killer Colangelo e la guerra tra politica e criminalità

 

Aldo Bianchini

Un killer con una bella donna

SALERNO – A quarant’anni dalla cruenta uccisione di Virgilio Colangelo (noto con il nomignolo di “Lacertone”), uno dei killer più spietati che la malavita organizzata salernitana abbia mai avuto, caduto sotto i colpi devastanti di un “gruppo di fuoco” della camorra della Piana del Sele e con un senso storico concreto si potrebbe anche affermare che la genesi della “tangentopoli salernitana” nasce anche, ma non solo, dalla drammatica battaglia tra le “famiglie” criminali della Piana del Sele – dei Picentini e dell’Agro Nocerino/Sarnese degli anni ’80.

Le tracce di questo discorso sono tuttora rilevabili nell’ottimo libro “I miei giorni della camorra” (Boccia Editore – 1988) scritto dal compianto Domenico Santacroce (meglio noto come “don Mimì”) magistrato di vaglia che si mise in luce come giudice istruttore a Salerno e come Capo della Procura della Repubblica di Sala Consilina, da dove agli inizi degli anni ’90 pilotò magistralmente alcune grosse operazioni giudiziarie che lanciarono nel panorama nazionale la tangentopoli nostrana. Come ho già scritto nei precedenti capitoli di questa storia fu proprio “don Mimì” ad intuire che, per entrare nel mondo della malavita per seguire le sue ramificazioni nella politica e nella pubblica amministrazione, era assolutamente necessario avvalersi della innovativa tecnologia investigativa impostata sulle intercettazioni telefoniche e ambientali e sulle microspie. Storiche le registrazioni segrete dei suoi colloqui con due imprenditori salernitani: Gerardo Satriano e Vincenzo Ritonnaro.

Nel suo libro Santacroce mette splendidamente a fuoco la grande battaglia interna alla malavita organizzata che ha consentito, poi, alla magistratura di entrare ben attrezzata nel cuore della guerra che venne combattuta negli anni ’80 tra la politica e la malavita (in fase di ristrutturazione e innovazione) per l’acquisizione delle nuove posizioni di potere contrattuale che nei primi anni ’90 spodestò sia la vecchia camorra (Alfieri e Galasso, e con essi tutte le famiglie malavitose collegate) che la politica della 1^ Repubblica.

Dalle pagine del libro di “don Mimì” si intuisce che la perfetta conoscenza del fenomeno malavitoso salernitano, conoscenza acquisita nel corso degli anni ’80, consentì poi nei primi anni ’90 una più facile ricostruzione del cosiddetto “combinato disposto” tra politica e malavita” con conseguente inevitabile demolizione giudiziaria del fenomeno stesso; per questo il procuratore Domenico Santacroce fu uno dei principali protagonisti di quella stagione di grandi inchieste giudiziarie.

Quella guerra convolse, difatti, tutte le grandi famiglie salernitane della malavita organizzata a cominciare dai Marandino per finire con Cosimo D’Andrea senza trascurare i De Feo, i Maiale, i Maiuri, i Frunzo, i Gojevic, i La Ragione, i Vittozzi, i Di Pasquale, i D’Alessio, i Serra (del famigerato “Cartuccia”), gli Avallone-Stoia, i Campitiello, i Farina, gli Schiavone, i Caiazza, i Grimaldi (detto “Il vampiro”), i Sabatino (di Michele ‘o cecato), i De Risi, i Cuomo, i Nocera (frtelli “Tempesta” di Angri) e tanti altri senza dimenticare Salvatore Di Maio (Tore ‘o guaglione ovvero Faccia d’Angelo, capo delle famiglie dell’agro nocerino-sarnese e mano armata di Raffaele Cutolo) che, secondo gli inquirenti, ordinò l’uccisione del Lacertone. Tutti, o quasi, appartenenti alla NCO (Nuova Camorra Organizzata) di Raffaele Cutolo (o’ professor) e in via di fuga verso la NF (Nuova Famiglia) di Carmine Alfieri e Pasquale Galasso.

Nel corso del processo di 1° svoltosi verso la fine degli anni ’80, ci fu poi la grande sorpresa del clamoroso memoriale di quindici pagine (che sconvolsero il processo e che richiamarono in campo direttamente la politica e gli accordi trasversali di potere) reso da Cosimo D’Andrea nelle mani del pm Ennio Bonadies che non esitò a consegnarlo ai giudici del collegio giudicante che rifilò una serie impressionante di ergastoli, poi ridotti come pene in appello ed in Cassazione, ma mai al di sotto dei venti anni.

I carabinieri Arena e Pezzuto uccisi a Faiano il 12 febbraio1992

 

Un guerra, tra bande spietate, sicuramente cominciata il 9 ottobre 1982 (quarant’anni fa) e conclusa, forse, la sera del 12 febbraio 1992 con l’uccisione brutale dei due carabinieri (Fortunato Arena e Claudio Pezzuto) per mano di Carmine De Feo e Carmine D’Alessio (della NCO) e su ordine dal carcere sempre di Salvatore Di Maio. Due sfortunati carabinieri capitati, per caso, nella fase finale della guerra di camorra tra la banda dei resti della NCO e le flangi della NF; due fazioni che forse quella sera si inseguivano per i Monti Picentini.

 

 

  • (Corriere della Sera – 13 aprile 2013) SALERNO — Sei ergastoli per altrettanti omicidi, trent’anni di vita trascorsi in carcere a Rebibbia e quasi tutti in regime di carcere duro (41 bis). Il temutissimo braccio armato di Raffaele Cutolo, che negli anni ’80 lo scelse quale referente della Nuova camorra organizzata strappandolo al nemico Pasquale Galasso della Nuova famiglia, ha ottenuto la semilibertà. CASO GIUDIZIARIO – All’unicità del caso giudiziario si abbina la notorietà del protagonista, Salvatore Di Maio, detto ‘tore o’guaglione’ e ‘faccia d’angelo’, nocerino, killer della Nco, ex luogotenente dei Cutolo, coinvolto in quasi quindici omicidi, finito nelle maglie della giustizia anche per omicidi considerati “eccellenti”: come la morte del sindaco di Pagani, Marcello Torre, nel 1980. Omicidio per il quale si è riaperto il fascicolo. O, ancora, l’efferato delitto di Simonetta Lamberti, figlia di appena 10 anni del magistrato cavese Alfonso che, pur di individuare il colpevole non esitò a contattare l’oggi 54enne pluripregiudicato per incontrarlo di persona. Poi, le numerose faide e le “trasferte” a Napoli, vicino al capo, “o’ professor e di Ottaviano”. Al suo fianco, sempre, anche quando pian piano inizia il declino della Nco spa con guerre intestine che portano a 360 morti ammazzati, in un sol anno. Salvatore viene anche arrestato e clamorosamente evade dal carcere di Salerno. Ad acciuffarlo, tra Roma e Latina, è l’allora capitano dei carabinieri Gennaro Niglio. Tore o guaglione varca la soglia del carcere poco più che ventenne. E su di lui fiumi di inchiostro per racconti tra leggende e verità. Mai pentitosi, oggi gode della semilibertà. Già, il 54enne rappresenta il primo caso italiano di detenuto in regime di carcere duro con l’aggravante dell’articolo 7 (aggravante mafiosa) che usufruisce dei benefici di legge.

Il quadro politico – giudiziario – malavitoso a questo punto è abbastanza chiaro e la tangentopoli può cominciare.

Il procuratore Santacroce

Per meglio capire l’importanza di quell’efferato omicidio nell’ambito della strategia investigativa è giusto ricordare il personaggio Virgilio Colangelo. Era un killer lucido e spietato, fedelissimo di Salvatore Di Maio e di Vincenzo Casillo (detto “’o Nirone”, punta di diamante della NCO nel mondo di mezzo di Roma, poi bruciato vivo nella sua auto); Virgilio era, insomma, il killer fidato e buono per tutte le stagioni con incarichi locali, nazionali e internazionali.

Virgilio Colangelo: vita, amori e morte di un camorrista

Era nato nel marzo del 1948 a Montecorvino Rovella da una famiglia medio-borghese; un’infanzia ed una gioventù normale, troppo normale; senza grilli per la testa e senza eccessive pretese. Poi la maggiore età e i primi inquietanti incontri che ancora, però, non coinvolgono interamente il giovane Colangelo. E’ tempo di divertimenti, di serate galanti e di donne allegre e del gioco, meglio ancora se d’azzardo.

Poi arrivano i primi impegni, le prime responsabilità e i primi incarichi di fiducia, quelli che contano e che fanno rapidamente salire nella scala della considerazione all’interno della famiglia, la camorra, che diviene presto la sua casa con l’inevitabile affiliazione alla potentissima ed anelata NCO.

Virgilio è convinto di quello che fa, e presto la sua notorietà cresce a dismisura fino a diventare il riferimento sicuro del capo dei capi che lo considera gelido – efficiente – preciso – silenzioso e freddo; tutte qualità di un killer di razza.

Entra nel gotha della cupola, fortemente spalleggiato da Salvatore Di Maio e dal suo luogotenente Vincenzo Casillo; ed ottiene incarichi sempre più prestigiosi, per lui uccidere a Salerno come a Rio de Janeiro passando per New York è cosa assai semplice.

Il suo rifugio naturale, tra un’operazione e l’altra, è il Parco delle Querce di Contursi (patria indipendente della Famiglia Marandino) con il mitico “don Giovanni” e il suo autista “Mimì” il grande esattore. In quel luogo si sente al sicuro anche dalle pressioni delle forze dell’ordine che si fanno sempre più insistenti.

Due negozi di calzature (a Contursi ed a Montecorvino Rovella); a Contursi conosce la moglie “Serenella” dolce – giovane e bella, la quale assolutamente ignara dell’attività coperta del marito non può fare altro che aspettarlo pazientemente quando a volte scompare per qualche giorno per portare a segno incarichi nazionali ed internazionali. La inonda di regali e di viaggi spettacolari con puntate a Parigi e nei luoghi più ameni del mondo.

Poi, però, Virgilio quasi si innamora della splendida vita galante, dalla capitolina Via Veneto all’agognata spiaggia di Copacabana, dell’amico Vincenzo Casillo; non capisce che “’o nirone” è in caduta libera agli occhi del capo dei capi “o’ professor”; questa sua stretta amicizia non gli viene perdonata; viene mollato anche dal suo maggior protettore “Tore o’ guaglione”.

La sera del 9 ottobre 1982, con la giovane moglie ed il suo primogenito stretto tra le braccia, si trova all’interno del suo negozio di calzature di Montecorvino R.; all’improvviso un gruppo di fuoco entra nel negozio, lo bloccano faccia al muro con il bimbo in braccio e gli sparano a bruciapelo alla nuca; il bambino illeso. La camorra sa uccidere. Il sogno di Virgilio Colangelo fatto di divertimenti, di serate galanti, di grand hotel, di casinò e di belle donne finisce brutalmente con un solo colpo di pistola alla nuca.

Il Killer dagli occhi di ghiaccio lascia alle sue spalle un centinaio di efferati delitti.

 

 

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