ALLA RICERCA DELL’IDENTITA’ PERDUTA

 

 

da Alfonso Malangone – Ali per la Città – 20/01/2024

 

A cosa serve oggi, l’identità? In un mondo fluido e appiattito da modelli omologanti, diffusi attraverso la condivisione istantanea di pensieri e azioni con l’obiettivo di globalizzare economie e anime, l’identità appare un anacronistico cimelio. Anzi, per qualcuno, essa costituisce addirittura un ostacolo da rimuovere per inseguire modernità e progresso. Per fortuna, di fronte ai disastri causati da questa visione, inizia ad affermarsi, oggi, la convinzione di un necessario ritorno alla ricerca dei caratteri-simbolo della Comunità al fine di ritrovare, al suo interno, le fonti di nuove regole di vita materiale e morale. Così, l’identità non è più sinonimo di selezione o disgregazione, ma è ricchezza da valorizzare e condividere come complementare diversità rispetto ad altre diversità. E’ forza trainante di modalità di sviluppo incentrate sulla piena consapevolezza delle specificità territoriali, ambientali, storiche, culturali e umane.

L’identità non è un dato anagrafico, né un valore matematico. E’ la risultante di un processo di adeguamento continuo tra natura e vita in conseguenza di scelte e comportamenti frutto delle conoscenze acquisite e delle esperienze maturate. La sua componente iniziale è costituita dal ‘ricordo’ delle emozioni vissute, tanto più coinvolgenti quanto più intense siano state. Dall’insieme dei ricordi, si sviluppa quel flusso interiore di informazioni che crea la ‘memoria collettiva’ in grado di indirizzare le volontà verso uniformi comportamenti materiali, sociali e morali, interessando l’arte, il sapere, il fare, la tradizione, l’intera vita. E’ questo patrimonio, originale e inconfondibile, a costituire la ‘identità collettiva’ di una Comunità. Per questo, senza cultura non si crea memoria né si consolida l’identità e, quindi, non c’è coscienza condivisa, non c’è consapevolezza del progredire e, in particolare, non c’è futuro. E’ l’identità, infatti, a produrre la linfa che alimenta la convivenza, come sono le radici di un albero a trasmetterla ai rami per farli espandere, dare frutti e salire verso il cielo. Tuttavia, se cultura, memoria e identità sono forze aggreganti, sono anche resistenze dirompenti. Da sempre, forse escludendo solo i Romani, affascinati dalla civiltà greca pur avendola sottomessa, i popoli invasori hanno affermato la propria egemonia distruggendo il patrimonio materiale e morale dei vinti con la finalità di tagliare ogni legame tra passato e futuro e sostituire il ‘potere della memoria collettiva’ con la ‘memoria del potere’ del conquistatore. Così, l’inizio della fine di una Comunità ha coinciso con gli scempi o le distruzioni del sapere e delle abilità umane, quali libri e biblioteche, delle opere del talento, dei templi e dei luoghi di culto.

Con questa premessa, è stato davvero interessante partecipare, Giovedì mattina, presso l’Istituto Alfano I, all’inaugurazione della mostra “La Salerno dimenticata” per ascoltare i messaggi diffusi da relatori ricchi di scienza, di coscienza e di esperienza, volti a diffondere l’esigenza della salvaguardia, con conseguente valorizzazione, dei caratteri identitari della Città e del suo territorio. In particolare, alcuni hanno sottolineato lo svilimento arrecato dall’aggressione subita dalla parte storica della Città in epoca recente, quando si è diffusa l’idea di una sua integrale sostituzione edilizia, come già immaginato nel periodo fascista. Una conferma del fatto che la cultura appartiene alle coscienze, non alla supremazia di qualche organizzazione politica. E, chissà che il progressivo disfacimento degli immobili civili e religiosi non sia il mezzo per arrivare a quel risultato, evitando i contrasti progettuali con coscienze modellate secondo visioni contrapposte. Se così fosse, la perdita dei nostri simboli storici identitari non sarebbe l’effetto di una semplice dimenticanza, per un vuoto mentale che, talora, può spingere a lasciare a casa le chiavi dell’automobile o l’ombrello quando piove. Cioè, Salerno non sarebbe stata ‘dimenticata’, ma ‘abbandonata’, in attesa di una sua definitiva devastazione naturale. Purtroppo, con tutto questo, sono state diluite le componenti umane che hanno contribuito a renderla ‘opulenta’, prima, e ‘civile, libera e democratica’, poi, grazie all’impegno di chi dedicò la vita, talora anche rinunciando ad essa, per sostenere quella degli altri. Ben pochi dei loro nomi sono noti e ben poche delle loro azioni sono conosciute. Così, ci hanno pensato le giovani ed i giovani dell’Alfano I a colmare il baratro presente nelle coscienze. Di tutti.

Il loro lavoro è stato davvero encomiabile. Dopo intense ricerche in ogni utile archivio, hanno selezionato 23 cittadini/e, o abitanti della Provincia, in funzione delle loro straordinarie scelte di vita e hanno ricostruito le loro azioni uniche e preziose. Sono persone vissute nel rispetto di principi ispiratori di una straordinaria personalità individuale poi divenuta concreto elemento di rinnovamento della coscienza collettiva della Comunità. Eppure, sono stati dimenticati. Adesso, però, si possono conoscere e, in verità, vale la pena di farlo, visitando la Mostra entro la fine anno.

Giovedì, la Preside Elisabetta Barone, la coordinatrice Annamaria Valletta e il corpo dei docenti dell’Alfano I hanno avviato un percorso. E, per questo, meritano ogni lode. Ma, ancor più, meritano ogni lode le allieve e gli allievi per aver espresso, nel corso della illustrazione di quei cittadini illustri, talora con l’emozione tipica della loro verde età, la consapevolezza di essere parte di una Comunità dotata di forti caratteri identitari. Sono il primo gruppo a beneficiare di una ritrovata identità. Saranno donne e uomini certamente migliori di noi.

 

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