La finanza islamica: principi fondanti

Filippo Ispirato
Nei paesi musulmani è nata negli anni ’60 una nuova versione della finanza, chiamata “islamica” per la sua aderenza ai dettami della religione di Maometto.
Un finanza che, in termini di volumi, ha registrato dagli inizi degli anni Duemila una crescita vertiginosa, in particolare nelle piazza finanziarie della penisola arabica, del corno d’Africa e del Medio Oriente, periodo in cui Dubai è diventata una delle principali piazze borsistiche al mondo.
I punti cardine della Finanza Islamica sono due: il divieto di accettare interessi su prestiti (divieto del Ribà) e l’obbligo di effettuare investimenti socialmente responsabili, ossia aderenti ai dettami della religione musulmana. Vediamo nel dettaglio in cosa consistono.

Divieto del Ribà: come recita il versetto 275 della seconda sura del Corano “Dio ha reso lecito il commercio ed illecito l’interesse”, ciò si traduce nella pratica nel divieto assoluto di considerare gli interessi come una forma di profitto lecito. Sono vietati, infatti, sia il guadagno privo di rischio, ossia prestando del denaro senza un’attività economica sottostante, sia quando si percepiscono interessi per un’attività finanziaria con intenti speculativi (arbitraggi, opzioni, derivati ed operazioni di ingegneria finanziaria in genere).
Il guadagno lecito e gli interessi ammissibili sono esclusivamente quelli riconducibili ad una forma di investimento reale (Vendi oro per oro, argento per argento, grano per grano, orzo per orzo, dattero per dattero, sale per sale, nella stessa specie nella stessa quantità faccia a faccia; se le merci differiscono, puoi venderle come desideri, purché lo scambio sia contestuale. Chi paga di più o riceve di più ricade nel ribà. Chi prende e chi riceve è uguale nella colpa).
Nelle economie occidentali, ad esempio, è norma da parte delle banche concedere mutui per l’acquisto casa a fronte di un’ipoteca e del pagamento di un certo numero di rate che comprendano la restituzione del capitale e degli interessi; per gli istituti islamici è fatto divieto di concedere mutui, in quanto si tratta di una forma di investimento di denaro senza un’attività reale sottostante. In questo caso la banca diventerà proprietaria dell’immobile; lo concederà in affitto al cliente che in un numero predeterminato di anni pagherà l’affitto e una commissione aggiuntiva per il servizio. A scadenza di questo periodo il cliente diventerà il proprietario dell’immobile.
Il modello seguito dalla finanza islamica è simile alle nostre forme di Leasing bancario.
Anche alcuni prodotti di investimento sono differenti rispetto al modello in uso presso le altre economie; le obbligazioni, ad esempio. Le obbligazioni sono, semplificando, un somma di denaro data in prestito ad un ente che ripagherà il suo debito attraverso il pagamento di interessi sotto forma di cedole e con la restituzione del capitale alla scadenza, indipendentemente dal tipo di attività economica che l’ente emittente intende farne.
Nella finanza islamica le obbligazioni, le cosiddette SUKUK, devono obbligatoriamente avere un sottostante reale, ovvero le somme di denaro investite devono essere impiegate in un determinato progetto, di tipo immobiliare o infrastrutturale, e, al posto delle cedole/interessi, i ricavi dell’istituto saranno i profitti derivanti dall’attività sottostante. Anche in questo caso è possibile notare una certa somiglianza con  la finanza tradizionale, in quanto il principio è in qualche modo simile ai contratti di Project Financing.

Investimenti socialmente responsabili in tal caso la banca islamica che impiega le sue disponibilità deve assicurarsi che vengano impiegate in attività aderenti all’etica musulmana e ai dettami del Corano, che quindi non commercino in armi, alcol, droga o prostituzione.

L’Europa negli ultimi anni ha scoperto il giro d’affari collegato a questo nuovo tipo di finanza, in particolare Gran Bretagna e Francia dove è più massiccia la presenza di immigrati dall’area islamica. In questi paesi stanno aprendo diverse filiali di banche  islamiche visto il giro d’affari generato, stimato attorno ai mille miliardi di dollari e che potrebbe arrivare a triplicare nei prossimi cinque anni.

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