SCALFARO: il “non ci sto” che cambiò la storia giudiziaria del Paese

Aldo Bianchini
SALERNO – Non sono uno storico e neppure un politologo, sono semplicemente un cittadino (ancorchè giornalista) che ha avuto il privilegio di assistere, osservare e leggere almeno gli ultimi cinquant’anni della storia politico-giudiziaria di questo Paese da un osservatorio speciale come quello della cronaca giornalistica giudiziaria. Come tanti ho anche io una precisa idea di quello che è stato l’uomo e il politico Oscar Luigi Scalfaro, emerito Presidente della Repubblica dal 25 maggio 1992 al 15 maggio 1999. Non starò qui a parlare di Scalfaro o ad omaggiare la sua controversa azione politica e presidenziale, non ricorderò il suo “odio” contro i socialisti, il perché Bettino Craxi lo ripescò dall’oblio della politica nominandolo ministro degli interni dal 1983 al 1987, del suo rancore contro Craxi ormai in esilio, dello scontro durissimo con l’allora ministro della giustizia Filippo Mancuso e dello scandalo che travolse la figlia Marianna e l’architetto Adolfo Salabè (unico condannato). Intendo svolgere alcune riflessioni su quel mega-scandalo dei servizi segreti del SISDE, non per rifare la cronaca di quei giorni drammatici in cui anche la figura del capo dello stato (leggasi Scalfaro!!) era stata messa in seria discussione ma per soffermarmi sulla frase storica che in diretta televisiva, a reti unificate, Scalfaro pronunciò la sera  del 3 novembre 1993 interrompendo addirittura la diretta calcistica della partita di Coppa Uefa tra il Cagliari e il Trabzonspor (squadra turca), cosa che neppure il più devastante dei Berlusconi ha mai fatto. Quello non fu un messaggio alla nazione ma una vera e propria autodifesa senza alcun contradditorio. Con l’espressione “Non ci sto” azvvalorò la tesi di un complotto ai suoi danni e parlò di un presunto “gioco al massacro” dando una chiave di lettura dello scandalo come di una rappresaglia della classe politica, travolta da tangentopoli, nei suoi confronti. In pratica qualche mese prima era accaduto che l’ex capo dei servizi Sisde, Riccardo Malpica, agli arresti domiciliari da alcuni giorni aveva affermato che Mancino e Scalfaro gli avrebbero imposto di mentire sull’uso dei fondi riservati (circa 100milioni di lire ogni mese) che i due avrebbero percepito durante i loro mandati di ministri degli interni. Dopo quel “non ci sto” la magistratura si fermò e rinviò a giudizio soltanto i cosiddetti “sette uomini d’oro”, cioè tutti quelli che insieme a Malpica avevano gesti i servizi segreti negli anni precedenti. Il processo si concluse, poi, con lievissime sentenze di condanna, insomma il caso si era letteralmente sgonfiato. Ma al di là dei fatti, delle presumibili verità e dei meandri pseudo politici mai esplorati, a mio modesto avviso quella frase (tre parole in tutto!!) ha segnato storicamente lo spartiacque tra la credibilità e la non credibilità di una magistratura che fino a quel momento aveva  saputo cogliere l’obiettivo permeando fino alle radici l’immaginario collettivo della gente comune per la conquista del “consenso popolare” alla sua devastante azione di legalità. In pratica quel “non ci sto” ha probabilmente segnato la fine di tangentopoli e della sua credibilità, insomma da quel fatale 3 novembre 1993 in poi  la gente comune ha incominciato a non credere più nell’azione genuina e trasparente della magistratura ed a credere, invece, in un’azione finalizzata soltanto alla conquista del potere con l’abbattimento della politica scelta dal popolo. Secondo me quella frase di Scalfaro ha fatto più danni all’immagine della magistratura italiana che tutti gli attacchi (spesso deliranti!!) di Silvio Berlusconi in diciotto anni. “Prima si è tentato con le bombe, ora con il più vergognoso degli scandali –disse Scalfaro- nessuno può stare a guardare di fronte a questo lento tentativo di distruzione dello Stato, bisogna considerare reato il reato e difendere ad oltranza e gli innocenti e le nostre istituzioni per non condannare tutto il popolo e noi stessi … a questo gioco al massacro io non ci sto, io sento il dovere di non starci, e di dare l’allarme, non ci sto non per difendere la mia persona che può uscire di scena in ogni momento ma per difendere l’istituto costituzionale della Presidenza della Repubblica, niente può essere consumato a fuoco lento …”. Solo per la cronaca ricordo che Scalfaro era stato eletto Presidente il 25 maggio 1992 sull’onda emozionale delle bombe di Capaci dove erano stati trucidati Giovanni Falcone, la moglie e la scorta. Perché la magistratura si fermò ? Per paura o per incapacità, o peggio ancora per scelta politica ? E perché la magistratura lasciò quell’azione a 360° che tanto aveva scosso le coscienze di noi tutti ? Domande che rimarranno tra i tanti segreti della storia della nostra Repubblica. La mia convinzione mi induce ad affermare che la tangentopoli, quella vera, nata il 17 febbraio 1992 con l’arresto di Mario Chiesa finì la sera del 3 novembre 1993 con il “non ci sto” di Oscar Luigi Scalfaro. Il 3 marzo 1994 la procura della Repubblica di Roma chiuse per sempre il periodo d’oro della magistratura sentenziando che  “… nei confronti dell’on. Scalfaro non sussiste alcun elemento di fatto dal quale emerga un uso non istituzionale dei fondi”.

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