Dossier Salerno/18: potere, la caduta e l’avvento di due sistemi e … i due modelli di città

Aldo Bianchini

SALERNO – Per meglio capire la nascita e la crescita, ovvero la genesi, del “sistema di potere deluchiano” è necessario fare un passo indietro nel tempo ed aprire una finestra sugli anni 70 e 80 nel lungo periodo in cui Vincenzo De Luca dalle segrete stanze di Via Manzo (sede provinciale del PCI) e con l’aiuto dell’allora fedelissimo Mario De Biase tesseva, in maniera scientifica e molto articolata, la tela per la conquista del potere. Prima del sistema di potere deluchiano esisteva, ovviamente un altro sistema, quello contiano; e se nella precedente puntata di questa inchiesta abbiamo fissato la nascita del potere deluchiano nel giorno 16 aprile 1992 con i sigilli (ad opera del magistrato Michelangelo Russo) degli studi tecnici dei due compassi d’ora (Raffaele Galdi e Franco Amatucci), la massima espressione temporale del potere contiano, potremmo abbastanza agevolmente fissare nella data del 21 settembre 1992 la fine ingloriosa del sistema di potere socialista messo in piedi dall’ex ministro per le aree urbane Carmelo Conte; cinque mesi per registrare la fine del vecchio sistema e salutare l’arrivo del nuovo. Anche in questo caso, purtroppo, è un magistrato a porre i sigilli su quel sistema durato poco più di un decennio che aveva portato il PSI al rispettabile traguardo del 33% di consenso elettorale; il magistrato Mariano De Luca (GIP a Salerno) parla, per primo e diffusamente, di un “sistema di potere” in una sua ordinanza emessa, guarda caso, nel giorno di San Matteo, patrono di Salerno: “Non può dunque sottacersi che i fatti di causa costituiscono una delle non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe delle istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari; lo squallido sottobosco che rigoglia ai margini del sistema istituzionale è nella vicenda processuale esemplarmente rappresentato e mostra, con la forza della protervia dei fatti, come l’abbandono di ogni principio morale, il disprezzo verso i valori fondamentali della vita associata, il miope egoismo che tutto subordina al tornaconto personale siano ampiamente diffusi, sovente elevati a sistema di vita e tendenzialmente suscettibili di attentare alla stessa sopravvivenza dello stato di diritto, non meno di fenomeni delinquenziali assai più appariscenti ed eclatanti. Gli elementi probatori sin qui acquisiti, confermando puntualmente l’ipotesi accusatoria, hanno evidenziato non soltanto come protervia e scadimento morale possano indurre a ritenere fatto normale e fisiologico l’appropriazione privatistica di apparati e sistemi predisposti a tutela di interessi generali e collettivi, ma anche come ad una concezione così distorta non siano estranei professionisti stimati e di prestigio, esponenti di categorie cui certo non difettano gli strumenti per una corretta valutazione di simile forma di devianza … La prognosi comportamentale non può, dunque, che essere infausta>>.  Dunque il 21 settembre del 1992 un magistrato di alto profilo dipingeva la città di Salerno alla stregua di un antico borgo medievale nel quale la legge del più forte riduce al ruolo di semplici e collusi vassalli tutti gli altri, dai professionisti stimati ai rappresentanti delle varie categorie sociali. Insomma secondo la linea di pensiero dei magistrati dell’epoca tutta la città era sommersa sotto una coltre molto spessa di fango e di corruzione che non aveva più gli strumenti per un’analisi obiettiva della drammatica situazione che non poteva più continuare ad essere. Un clima torbido e talmente diffuso da sfuggire, quindi, al controllo di qualsiasi soggetto politico-istituzionale ben intenzionato; un clima che doveva forzatamente passare sotto la tagliola della giustizia. Ma quello di ventiquattro anni fa era lo stesso clima che si vive oggi in città ? Questo potremo giudicarlo soltanto quando saremo in grado di azzardare una rivisitazione strorico-politico-sociologica del potere deluchiano; al momento, per meglio capire, possiamo fare soltanto un altro balzo all’indietro; è sarà, forse, la fine di ogni illusione. C’è comunque qualche altra cosa da dire e cioè che il “clima ambientale” descritto con dovizia di particolari dal magistrato Mariano De Luca era in pratica il clima che la giunta laica e di sinistra si era ritrovato tra le mani come una patata bollente e con poche possibilità di drastica risoluzione o di modifica migliorativa. Tutti gli anni ’80 erano stati, difatti, quelli in cui maggiormente la corruzione e l’instabilità politica erano aumentate a dismisura fino all’insopportabilità di ben dieci sindaci nel giro di appena sette anni, un valzer che causò danni irreparabili alla già poca fiducia che la gente aveva nei confronti delle amministrazioni comunali e con esse nei confronti di tutto quello che rappresentava un certo tipo di potere pubblico. Il 4 agosto 1980 si dimette Alberto Clarizia dopo un anno di sindacato e sale Ennio D’Aniello, il 12 ottobre 1981 arriva Renato Borrelli che viene sostituito da Nicola Visone il 10 giugno 1982, ritorna Alberto Clarizia il 5 ottobre 1982 per far posto nuovamente ad Aniello Salzano il 23 gennaio 1984 e dopo poco più di un anno il 12 febbraio 1985 ritorna in sella Nicola Visone che dura meno di un mese  e il 6 marzo 1985 arriva Vittorio Provenza che resta in carica sei mesi e sei giorni  e il 12 settembre 1985 fa posto a Michele Scozia che resiste in sella fino all’ 8 marzo 1987, data storica in cui viene eletto al termine di una vera e propria congiura di palazzo il nostro Vincenzo Giordano a capo di un accordo solido e di un  programma di governo che aveva precise fondamenta. Negli anni ’70, invece, finita l’epopea di Alfonso Menna c’era stata l’ascesa travolgente di Gaspare Russo che dopo essere stato a lungo sindaco di Salerno divenne anche presidente della giunta regionale. Russo lasciò il Comune il 20 dicembre 1974 dando la stura al vergognoso “valzer dei sindaci” (Clarizia, Mobilio, Cicciniello, Provenza Ravera e lo stesso Clarizia) continuato fino all’entrata in scena di Vincenzo Giordano che dopo circa tredici anni di baldoria pose fine all’instabilità politico-amministrativa della città. Ma se escludiamo Gaspare Russo che dava conto e ragione soltanto e direttamente al “re di Nusco” Ciriaco De Mita, il resto della truppa (ben quattordici sindaci in tredici anni) dava conto in gran parte all’astro nascente di Pontecagnano (Paolo Del Mese) e in piccola parte al prorompente politico socialista ebolitano Carmelo Conte che nel frattempo aveva stravinto la sua battaglia contro Enrico Quaranta e Gerardo Ritorto. Molto stranamente questa lunga instabilità politica per il governo della città invece di provocare sconquassi giudiziari aveva offerto poco terreno fertile alle inchieste della magistratura, anzi in quegli anni si registrarono clamorose batoste in danno di alcuni magistrati impegnati sul terreno della pubblica amministrazione (basta ricordare Domenico Santacroce per il caso Quaranta, Claudio Tringali per il caso di Gaspare Russo e Luciano Santoro per il caso della massoneria salernitana mai pienamente chiarito). L’instabilità era data dal fatto che tutti i grossi personaggi politici del tempo preferivano defilarsi dal governo della città per offrire appetibili e succosi incarichi istituzionali in pasto alla canea di pretendenti che divennero anche i vari capri espiatori di un sistema che stava per esplodere. Con l’arrivo di Vincenzo Giordano, invece, il principio venne capovolto e i grandi big della politica nostrana si impegnarono direttamente sul territorio pur avendo importanti incarichi romani (il riferimento è a Paolo Del Mese e Carmelo Conte). Di fronte a questa situazione di potere radicalmente mutata iniziò prima lo scontro interno ai partiti che determinò un ondivago flusso migratorio dell’imprenditoria, da una parte verso l’altra e viceversa, e poi l’arrivo diretto della magistratura. In questa situazione più solida ma molto più pericolosa della pregressa instabilità politica si inseriva la figura di Vincenzo Giordano scelto, da Carmelo Conte, per tenere a bada tutti i movimenti sospetti e tutte le eventuali fughe in direzioni diverse da quelle immaginate dallo stesso Conte che doveva continuamente confrontarsi in sede romana con l’andreottiano Paolo Del Mese e con lo straripante potere del mitico Ciriaco De Mita che da Nusco manovrava a suo piacimento uomini e cose del salernitano. Non a caso è De Mita a sponsorizzare in prima persona l’arrivo a Salerno dell’arcivescovo Gerardo Pierro nell’estate del 1992, momento topico per la città e per la politica. Ma come si era arrivati a quel momento del 1992 e cos’era il “modello Salerno” ? Il “progetto Salerno” nacque, storicamente, verso la metà degli anni ottanta dalla fervente attività progettuale di un manipolo di tecnici ed urbanisti chiamati a raccolta intorno all’idea, tutta laica e di sinistra, di rilanciare sul piano nazionale ed internazionale la città di Salerno che fino a quel momento non aveva potuto o non aveva saputo esprimersi al meglio sul piano commerciale, turistico ed industriale. Era il momento delle grandi scelte strategiche per la necessaria pianificazione della destinazione urbanistica da dare non solo al centro urbano ma a tutto l’hinterland per spingerlo verso il sogno della famosa, e per certi versi famigerata, area metropolitana che potesse soltanto riequilibrare, e mai contrastare, il dislivello esistente e non facilmente colmabile con la più grossa e popolosa area metropolitana di Napoli. Un antico sogno, quello dei salernitani; un sogno sempre castigato e costretto alla rapida ritirata sia dall’intrinseco strapotere di Napoli che dalle scelte miserevoli dei politici che fino a quel momento si erano affacciati sulla scena della nostra città e dell’intera provincia per allinearsi e sottomettersi rapidamente ai voleri dei napoletani prima e degli avellinesi poi. Carmelo Conte, come si disse in quegli anni, elaborò un sistema collaterale a quello partenopeo (troppo forte !!) che potesse emergere e sostanziarsi per proprio conto senza urtare più di tanto le pur giuste attribuzioni storiche della metropoli del sud. Si trattava del famoso o famigerato “laboratorio laico e di sinistra” che attirò come il miele tutte le mosche possibili dando il via ad una stagione progettuale senza precedenti con un numero impressionante di tecnici locali (ben 230 tra geometri, ingegneri, architetti, urbanisti) letteralmente catapultati al centro di quella grande intuizione con le proposte più disparate e di grande qualità tecnica per il necessario rimodellamento non solo del capoluogo ma dell’intero territorio provinciale. Dal 1987 al 1991 fu un rifiorire di idee, di progetti, di proposte, di conferenze di servizio, ecc., e fu anche il momento di mettere la classica ciliegina sulla torta già bella e pronta; quella ciliegina passerà poi alla storia con il nome di: “delibera 71” approvata nel corso dell’anno 1989 dall’Amministrazione laica e di sinistra, con sindaco Vincenzo Giordano, che governava la città capoluogo. La delibera consiliare di fatto bloccò all’istante il dilagare della speculazione edilizia che da troppi anni e senza alcun controllo stava devastando il territorio con una colata di cemento che non trovava precedenti nella pur millenaria storia di Salerno. Alla prossima.

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